Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Opera minore di Kurosawa e seconda collaborazione con Mifune che per vent’anni sarà il “volto” di Kurosawa in sedici film
Opera minore di Kurosawa, Shizukanaru ketto appartiene al clima dell’immediato dopoguerra, momento di grossi problemi economici, difficoltà tecniche di ogni specie per girare un film (perfino l’energia elettrica è spesso razionata), condizionamenti e pressioni a non finire da parte degli americani sulle scelte e sui soggetti, necessità sempre più urgente di trovare nuovi spazi e affermare la propria libertà di espressione.
Ciononostante, nello stesso anno nascerà quel capolavoro che è Nora inu (Cane randagio) e, dopo la breve parentesi un po’ mélo di Shubun (Scandalo), esploderà la sinfonia di Rashomon, seguita dal riconoscimento mondiale a Venezia ’51 e dal Premio speciale agli Academy Awards (Hollywood introdusse solo nel ’56 l’Oscar al miglior film straniero).
Questa è la seconda collaborazione con Mifune, 29 anni, che già aveva dato eccellente prova di sé ne L’angelo ubriaco dell’anno precedente e che per vent’anni sarà il “volto” di Kurosawa in sedici film, metà della sua produzione.
La storia ha inizio durante la guerra, nella giungla.
Il chirurgo dell’esercito Kyoji Fujisaki (Mifune) sta operando un paziente in gravi condizioni. Durante l'operazione si taglia ma continua a lavorare, il suo senso del dovere s’impone, nonostante il rischio di infezione. Ben presto scopre che il paziente è sifilitico, malattia contagiosa e curabile, certo, ma a quell’epoca in tempi molto lunghi e, quel che più conta, esposta ad un giudizio sociale negativo di cui era difficile non tener conto.
Dopo la guerra Kyoji, consapevole del suo stato e senza più prospettive per un normale futuro con Masao, la donna che ama,torna a lavorare nel piccolo ospedale pubblico diretto dal padre, Konosuke (si ricompone conTakashi Shimura la coppia di Cane randagio).
Lì continua a curarsi, e rompe il fidanzamento con Masao (Miki Sanjo),la quale non riesce a capacitarsi dell’improvviso cambiamento dell’uomo, che sceglie il silenzio e una dolorosa solitudine pur di tenerla lontano dal pericolo.
Nonostante i limiti del film, piuttosto artificioso nella costruzione del protagonista, troppo avvolto da un’aureola di santità, edificante oltre ogni limite nel rifiuto di parlare del suo problema e nell’abnegazione che lo contraddistingue (per restare fra i medici di Kurosawa, va detto che anche in Barbarossa la figura del medico non convince, mentre ben altro allure ha Sanada, il medico ubriacone de L’angelo ubriaco), le scene fra padre e figlio meritano però attenzione perché intense e ben orchestrate, come pure eccellente è l’interpretazione di Noriko Sengoku (l’infermiera segretamente innamorata di Kyoji) che aveva debuttato con Kurosawa ne L’angelo ubriaco.
Una prestazione al femminile di notevole respiro, “è una delle performance migliori con un personaggio femminile in un film di Kurosawa, una ragione sufficiente per guardare il film.” commenta S. Galbraith (The Quiet Duel, BCI Eclipse).
Le donne di Kurosawa, con il loro piccolo spazio, ancora una volta si fanno onore.
www.paoladigiuseppe.it
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