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Una meravigliosa domenica

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Una meravigliosa domenica

di yume
8 stelle

Kurosawa gira nel ’47 questo film che è impossibile definire con un’etichetta unica.E’ neorealista senza esserlo programmaticamente, surreale con una solida presa sulla realtà, è una favola vera girata nel Giappone nel dopoguerra, in piena ricostruzione morale e materiale.

locandina

Una meravigliosa domenica (1947): locandina

"Applaudite signori, vi prego…se applaudite ridarete fiducia a tutte le coppie del mondo povere come noi…ridateci la speranza che i sogni prima o poi riusciremo a realizzarli, metteteci calore nell’applaudirci, conforterà le coppie che gelano di fronte a questa bufera che travolge il mondo, un mondo che con noi è spietato. Aiutateci a dipingere un bel sogno!"

Questo chiede Masako rivolta a noi, oltre la quarta parete, dal palcoscenico dell’Auditorium del solitario parco notturno di Tokio, mentre il suo amato Yuzo si rianima e nel buio l’orchestra invisibile prepara gli accordi.

Il vento ha cessato il suo sibilo, le foglie scorrono leggere sul pavimento, Yuzo dà la giacca a Masako: “Devo andare!”.

Ora la sua camicia bianca risplende mentre impone agli orchestrali il silenzio d’inizio.Le  braccia si sollevano, è il segnale, entrano i violoncelli e i contrabbassi nel registro grave del primo movimento dell’Incompiuta di Schubert.

Si apre il primo tema, purissima melodia esposta da oboe e clarinetto, e l’allegro moderato si distende per tutta la sequenza e quella successiva, finale del film.

Il fischio del treno riporta alla realtà, i due fidanzatini si rivedranno fra una settimana, la prossima, meravigliosa “domenica da 35 yen”.Yuzo si allontana sorridendo, mentre le luci di Tokio occhieggiano a distanza.

Kurosawa gira nel ’47 questo film che è impossibile definire con un’etichetta unica.

E’neorealista senza esserlo programmaticamente, surreale con una solida presa sulla realtà, è una favola vera girata nel Giappone nel dopoguerra, in piena ricostruzione morale e materiale.

Masako e Yuzo attraversano la giornata di festa senza potersi permettere granchè, hanno in tasca 35 yen, sono poveri, incontrano poveri (lo “sciuscià” dall’aria disincantata e dalle risposte spiazzanti, il balordo che raccatta avanzi dai camerieri nel seminterrato del cabaret ), intorno a loro si muove un’umanità indifferente, spesso ostile.

Yuzo, orgoglioso e pragmatico, non ha più i sogni di prima della guerra, sente che sta per cedere, “sono un cane randagio” dice a Masako, la ragazza sorridente nel suo impermeabile fradicio di pioggia gelata, una piccola donna saggia che non rinuncia alla speranza.

Non hanno un posto dove ripararsi, lei è una “ragazza perbene”, si muove a disagio nella stanza di lui, dove la pioggia sgocciola dentro un catino. Volevano andare a sentire l’Incompiuta, con venti yen il biglietto lo compravano, ne hanno solo pochi di più, ma i bagarini hanno fatto fuori gli ultimi posti e i prezzi sono saliti, neanche  un caffè si possono permettere, per saldare il conto Yuzo lascia il cappotto in pegno.

Dunque, cosa resta se non sognare? E allora volano sulla città come le figurine di Chagall; nel parco, è già sera, sognano la pasticceria che forse un giorno apriranno, mimano la scena, ma ecco, sono nello spiazzo dell’Auditorium,sarà Yuzo a dirigere l’Incompiuta per Masako.

La scelta felice di Schubert per la favola finale assolve il giovane Kurosawa da ogni sospetto di sentimentalismo.

Immagini e musica intrecciano sinestesie perfette, quella musica che, stando alla celebre definizione di Adorno, è “come un viandante che vive la sua esistenza in un mondo che non gli appartiene mai e che tuttavia sa contemplare con disarmante acutezza, percependone le voci arcane, esiliato non dal mondo ma nel mondo entro cui percorre il suo cammino circolare” è in sintonia perfetta con questo traum-der-liebenden, e accompagna Yuzo e Masako alla fine di una meravigliosa domenica con la sua armonia mutevole, ricca di contrasti, con le sue esplosioni orchestrali e i pianissimi in rapida sequenza, fino alla dolente rassegnazione delle ultime note.

La coppia seduta ad aspettare il treno è un’immagine chapliniana di rara efficacia.  La domenica è finita.  

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

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