Espandi menu
cerca
Il giorno della civetta

Regia di Damiano Damiani vedi scheda film

Recensioni

L'autore

lamettrie

lamettrie

Iscritto dal 20 giugno 2013 Vai al suo profilo
  • Seguaci 7
  • Post -
  • Recensioni 633
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Il giorno della civetta

di lamettrie
9 stelle

Uno splendido film di sintesi sulla mafia. A firmarlo è Damiani, che per me è uno dei più grandi e più sottovalutati registi italiani. Ne parlo come di un film didascalico, di sintesi, proprio perché ha il pregio di non far mancar quasi niente, su un fenomeno atroce e pur così favoreggiato (per evidente interesse) dalla politica e dalla grande economia, come la mafia. De resto si avvale di un soggetto eccezionale come il romanzo di Sciascia.

C’è tutto della mafia perché innanzitutto c’è il movente economico: il primo assassinato è stato assassinato perché non ha accettato di cedere l’appalto a un mafioso che più di lui poteva vantare amicizie con i più violenti ricchi del luogo.

Poi c’è il depistaggio, in cui purtroppo la Sicilia (ma non certo tutti i siciliani, anzi! E nemmeno la maggioranza! per fortuna!) ha mostrato tanti segni di eccellenza, nel mettere in atto i segni dell’intelligenza, declinata come falsità e furbizia per i peggiori fini.

Poi, e questo è forse l’aspetto più grave della vicenda, vengono messi di mezzo innocenti, uccisi per poter dare credito alla versione più comoda ai criminali (ma non li hanno feriti all’orecchio, né hanno tolto loro 30 euro al mese, per dire, il che sarebbe comunque qualcosa di tremendo: li hanno proprio uccisi).

Poi c’è l’omertà, e comunque (sua sorella di sangue) la falsità, nel momento in cui si giura, o semplicemente si afferma, di dire tutta la verità: i confidenti di giustizia e i vari lacchè prima o poi finiscono male, proprio perché hanno scelto (solo perché era un mezzo per fare ben più soldi del normale, non per altro) di fare patti con i malavitosi, per i quali però la verità, esposta tutta e liberamente, è veleno purissimo, e quindi già si doveva sapere in anticipo dove si andava a finire (“di che morte si doveva morire”: il proverbio non è nato a caso).

Poi c'è anche l'inefficienza della giustizia: obiettivo non dichiarato, ma reale, di tutta la classe dirigente. Che in paese arrivino inqurenti corruttibili, magari con famiglia e quindi più teneri rispetto alle minacce, è un auspicio che il finale fa cogliere appieno.

Poi, in questa galleria degli orrori, la responsabilità più grossa è legata alla connivenza del potere: politici, giudici e preti sono tutti invariabilmente genuflessi per salvare il ricco criminale di turno. Del resto non può stupire, al sud purtroppo è così, come documentato ampiamente da cronache e sentenze, e non solo da validissime opere artistiche come questa, che pure sono state tacciate di inattendibilità in nome della “fantasia che è concessa all’artista”, come si è detto: infatti nel mezzogiorno giudici, politici e tutte le alte cariche (comprese quelle ecclesiastiche) almeno fino agli anni ’60 (epoca dei fatti descritti, ma in realtà anche molto dopo, e fino ad oggi con grandissima probabilità), potevano essere scelte solo ed esclusivamente se in loro favore c’era l’inconfessabile, ma comunque assolutamente decisiva, scelta del mafioso del luogo, che di norma era il più ricco, come mafiosi erano tutti gli altri ricchi come lui (nel senso che non potevano essere ricchi, se non erano prima anche mafiosi).

Poi chiaro è poi il dogma della sottomissione ai potenti: quando ci si lascia umiliare accettandone i doni, sapendo che in cambio bisogna svendere se stessi; oppure quando le vecchie analfabete si fanno il segno della croce, mentre vedono il potente e ricco mafioso in manette (al contrario, dovrebbero essere ben contente di quella scena).

Poi c'è la falsa cortesia: gli offrono un aiuto, mentre gli mettono una bomba nella macchina, e proprio per fare ciò. La retorica per fortuna viene mostrata per ciò che è.

Infine, viene esibito il maschilismo, con tutte le sue storture: l'insulto inaccettabile è quello di cornuto, non quello di mafioso. Per quanto il prima non sia mai augurabile, il secondo è mille volte peggio. Infatti il depistaggio mafioso consiste proprio nel far decadere l'indagine sul movente passionale, classico caso (come anche una marea di presunti suicidi) di insabbiamento.

Il cast recita in modo eccellente, come di norma capita nel sud Italia. Sceneggiatura e regia sono perfetti. La ricostruzione della realtà siciliana, che è così chiara pur nelle minime smorfie, è lodevole.

Alla fine il messaggio passa chiaro: se la classe dirigente economica (e di conseguenza politica) a livello locale e nazionale, continuano ad essere queste, il criminale non può che essere premiato, e arricchirsi; e l’onesto non può che subire ingiustizia, e impoverirsi.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati