Regia di Kon Ichikawa vedi scheda film
Il teatro giapponese è fatto di maschere, doppi ruoli, enigmi ed ambiguità. E di tutto ciò, Yukinojo Nakamura è l’emblema in carne e ossa: infatti è un oyama, un attore specializzato in ruoli femminili. Ed è anche il sosia di Yamitaro, un ladro di professione. Infine, è un uomo che usa il proprio fascino e il proprio talento per ordire una terribile vendetta contro i responsabili della rovina e della morte dei suoi genitori. Le sue mosse e le sue parole sono lente e studiate, perfettamente calibrate sulle situazioni, capaci di trasformare anche la seduzione in un fine esercizio retorico. Yukinojo si muove, attraverso la storia, con il ritmo cadenzato di un dramma Nô, di cui riprende il carattere fortemente concettuale. Intanto la vita, intorno a lui, cambia scenario come su un palcoscenico, conservando le atmosfere rarefatte ed i tratti essenziali di un sobrio allestimento teatrale. Il dolore si incanala, sinuosamente, negli involuti artifici della strategia, così come, nella sua recitazione, le urla delle emozioni si disciplinano in acrobatici vocalizzi. La rabbia si fa pensiero, mentre l’ossessione prende le sembianze di un demone: l’umanità si stacca dalla molle consistenza della carne per diventare un’anima immateriale e cangiante, in grado di trasfondersi nella realtà come una possessione diabolica. La finzione è l’esistenza vista da fuori: nella persona di Yukinojo, è il congegno che crea gli eventi e guida le azioni, in maniera raffinata e indiretta, come si addice ad un artista, anziché con interventi più rudi e concreti, secondo lo stile del suo alter ego criminale, che ruba ai ricchi per dare ai poveri. La polemica sociale imbocca la via dell’astuzia, che non esclude quella dell’orrore: la trama è un incubo prima sognato, poi tradotto in violenza omicida. È la tragedia che scende dal palco e si incammina per il mondo al fine di compiere la propria missione di giustizia, e colpire davvero i malvagi, ossia i potenti avidi e privi di scrupoli. I delinquenti si innamorano, si pentono, accorrono in aiuto di chi è nel bisogno, mentre, nelle alte sfere, i rapporti sono fondati sulla legge del più forte, sull’opportunismo e sullo scambio di favori. Namiji, la giovane figlia dal magistrato Dobe Sansai, offerta dal padre allo shogun per assicurarsi la sua protezione, è la fragile vittima di un gioco crudele. È il personaggio di una favola finito per errore in mezzo alla realtà, dove si incrociano le fila dei complotti politici e le scie degli interessi materiali. Quella ragazza è la delicata unione di un corpo che si fa desiderare e di un cuore che vorrebbe amare, ed è destinata a rimanere lacerata da quell’infelice combinazione di inconciliabili debolezze. Vendetta di un attore è l’amaro canto della vita, che è teoria divina e pratica infernale: è letteratura che nasce come innocua astrazione quando viene pubblicamente proclamata, ma che, nel privato, diventa una subdola magia verbale. La grazia incantatrice dell’arte drammatica, se applicata fuori dal copione, si trasforma nella micidiale arma dell’inganno: assume allora la doppia veste dell’adulazione, che conquista gli ambiziosi, e dello spauracchio, che atterrisce coloro che non hanno la coscienza a posto. E così, non appena la metafora sfodera la lama a doppio taglio della propria ambivalenza, la poesia moralista si fa epica popolare, castigatrice di costumi e creatrice di eroi.
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