Regia di Kon Ichikawa vedi scheda film
L’arpa birmana si ispira ad un romanzo scritto per diffondere fra i ragazzi le dottrine buddiste
Biruma no tategotodi Kon Ichikawa e Taiheiyo senki (Storia della guerra del Pacifico) di Hiroshi Okada sono state le uniche, felici eccezioni, di quella cospicua sezione della produzione cinematografica giapponese degli anni cinquanta dedicata in vario modo alla guerra (per un’ampia disamina sull’argomento cfr. J.L. Anderson e D.Richie, Il cinema giapponese, ed.Feltrinelli, 1961).
“L’arpa birmana si ispirava ad un romanzo scritto per diffondere fra i ragazzi le dottrine buddiste [di Takeyama Michio, scritto nel ’48 - n.d.r.]
Il film in un primo tempo era stato affidato a Tomotaka Tasaka, autore dei migliori film di guerra nipponici, ma una sua malattia impose di affidarlo a Kon Ichikawa. Nonostante le numerose vicissitudini in cui incorse, fra le altre lo scadente montaggio della Nikkatsu, fu ritenuto abbastanza riuscito da vincere alla Mostra di Venezia nel 1956 [edizione priva dell’assegnazione del Leone d’oro - n.d.r.] il premio San Giorgio, dato al film <che si riveli meglio adatto a stimolare con dignità artistica sentimenti e idee utili alla civiltà>” (J.L. Anderson e D.Richie, cit., p.277).
Il titolo
L'arpa birmana è uno strumento orientale più piccolo e molto più leggero della classica arpa da concerto, è portatile, dotato di 14 corde contro le 47 dell' arpa da concerto. Suonata da Mizushima, il protagonista, accompagna Canto d'Addio durante la sepoltura ai morti rimasti insepolti.
Sinossi
Il capitano Inouye (Mikuni Rentaro), comandante dell’unità di giapponesi sopravvissuti alla guerra, e successivamente detenuti in un campo di prigionia inglese fino al rimpatrio, e Mizushima (Yasui Shoji), il soldato/suonatore d’arpa che si farà bonzo e resterà in Birmania dopo la guerra per seppellire i morti insepolti, sottraendoli agli avvoltoi (“in Birmania non si dà sepoltura ai cadaveri dei nemici”, gli hanno detto), sono protagonisti di una storia di guerra e di pace, di pietà e di amicizia, ma a percorrere il film è soprattutto la consapevolezza del nulla che regna come legge sovrana nell’Universo e le ultime parole ne raccolgono il significato profondo:
“Ora che egli era rimasto solo sulla rossa terra di Birmania, pochi altri pensavano a lui. Già la sua memoria svaniva come il suono dell’arpa birmana, già non sapevamo più cantare la sua canzone, già dimenticavamo tutto, tutto. Ogni giorno che passa anche i morti non lasciano più traccia.”
Inouye, affacciato al ponte della nave che li riporta a casa, ascolta i compagni, facce di gente perbene e comune, contenti di tornare a casa e riprendere le abitudini quotidiane, andare in bicicletta e fare belle bevute di saké, vedere film e mangiare zuppa di piselli .
"… ah, lasciate stare Mizushima, ha scelto la sua strada e adesso basta! " è quello che dicono del compagno perso.
Eppure l’avevano cercato, non riuscivano a crederlo morto sul Colle del Triangolo, in quel furioso scontro a fuoco che Mizushima aveva cercato di evitare, supplicando i compagni di arrendersi, di non spargere altro sangue.
Ma no! Il Giappone vivrà sul nostro sacrificio! Siamo patrioti, moriremo per l'Imperatore! Mai arrendersi!
Ora la terra è cosparsa di cadaveri che imputridiscono e …- la Birmania - gli dice il bonzo che l'ha soccorso - è sempre la Birmania, com’era prima della guerra e come sarà dopo-.
I compagni avevano anche ammaestrato il pappagallo per cercarlo:
Mizushima, torna in Giappone con noi… Mizushima, torna in Giappone con noi…
L’avevano dato alla simpatica vecchietta, quella col cesto miracolosamente in equilibrio sulla testa, pieno di viveri da barattare con le loro piccole miserie, perché lo mettesse sulla spalla di quel bonzo che avevano visto in giro, sì, quello che sembrava Mizushima … chissà che non voglia tornare fra noi …
Ma Mizushima non tornerà.
Il suono dell’arpa arriva con onde portate dal vento, è lui, Mizushima, è vicino, il capitano Inouye ne è convinto, le variazioni su quel tema sono di Mizushima, non gli sfuggono, è un musicista, maestro di cappella nella vita civile, ha fatto dei suoi soldati la più straordinaria cellula sonora in tempo di guerra che sia mai dato ascoltare (complice Bach, naturalmente), cantano prima dell’attacco, per mimetizzarsi al nemico, cantano durante le marce e cantano ininterrottamente fin quasi a perdere la voce per farsi sentire da Mizushima.
Ma lui ha fatto la sua scelta, dolorosa e necessaria, nascosto dentro la grande statua del Buddha o fra gli alberi li guarda da lontano, li segue fino alla partenza , e l’elegante piccola arpa birmana è la sua voce.
E infine la lettera di addio al comandante:
Ho superato i monti, guadato i fiumi, come la guerra li aveva superati e guadati in un urlo insano, visto l’erba bruciata, campi riarsi.
Perché tanta distruzione è caduta sul mondo?
E la luce illuminò i pensieri, nessun pensiero umano può dare una risposta ad un interrogativo inumano. Io non potevo che portare un poco di pietà dove non era esistita che crudeltà.
Quanti dovrebbero avere questa pietà!
Allora non importerebbe la guerra, la sofferenza, la distruzione, la paura, se solo potessero da queste nascere alcune lacrime di carità umana.
Vorrei continuare in questa mia missione, continuare nel tempo fino alla fine. Perciò ho chiesto al bonzo che mi salvò dalla morte sul colle del triangolo di affidarmi la cura dei morti insepolti … perché le migliaia e migliaia di anime sapessero che una memoria d’amore le ricordava tutte, ad una ad una …
La terra non basta a ricoprire i morti...
Sulla terra di Birmania imbevuta di sangue, fra la polvere e le zolle aride che Ichikawa, maestro della cinematografia in bianco e nero, filma di luci e ombre, Mizushima si allontana verso l’orizzone avvolto nel candido shari, spinto da quel principio del sentire ed agire che ora è parte di lui:
“Vita, il vivente in prima persona è un immediato sentire accoppiato con un'azione. Una senzienza anche semplicissima, cellulare, che è sempre associata ad una energia manifestata dal movimento. Di seguito si autorganizza e si struttura in un organismo, un comportamento, una ecologia. Ma sempre resta. ?Il sentire-agire della vita è il luogo in cui il mondo sente sé stesso. Per questo la vita é il mondo. E dal vivente la domanda di senso si dispiega nella volontà” (da lezioni su Wittgenstein)
(Particolare interessante, dagli extra del DVD: il monologo finale di Inouye, con la lettura della lettera di Mizushima agli amici, fu girato in più riprese e fuori sequenza, bisognava evitare toni enfatici e climax emozionali indegni di ufficiali giapponesi)
www.paoladi giuseppe.it
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