Regia di Scott McGehee, David Siegel vedi scheda film
Lo Spell Contest è una competizione che, pare, fa impazzire l’America: i bambini si sfidano (su base cittadina, poi regionale, infine nazionale) nella corretta sillabazione (anzi nello “spelling”, lettera per lettera) di parole proposte dai giudici. Chi le azzecca tutte, passa al torneo successivo. È chiaro che in italiano, una lingua che si scrive come si pronuncia, il fatto che una bambina di 11 anni riesca mettere in fila correttamente n-a- r- c- i- s-o per “narciso” non provoca scariche di adrenalina nel pubblico, azzerando immediatamente la suspense delle gare cui partecipa la piccola protagonista. Ma, fin qui, si tratterebbe solo di un acquisto “incauto” da parte di una distribuzione tanto ottimista da credere che Richard Gere sia ancora un gigolo trascinatore di folle. Parole d’amore, però, non è tutto qui. C’è anche una famiglia borghese che avrebbe tutto per essere bella e felice ma non lo è, con il babbo ebreo che insegna teologia e cucina la colazione, ma è tanto distratto da non accorgersi che la mamma (cattolica convertita), da anni, va in giro a rubare gocce dei lampadari di cristallo, orecchini, portacenere, perline, cocci vari, e li assembla in un garage per creare un mega effetto caleidoscopio (no, questa parolona difficile non appare nel contesto), un figlio adolescente che, confuso, diventa hare krishna, e la piccola Eliza che, mentre fa lo spelling, materializza fiori, origami, piccioni e, di trascendenza in trascendenza, arriva a un passo da Linda Blair nell’Esorcista. Una scrittrice, una sceneggiatrice e ben due registi hanno messo insieme il film più demente e letteralmente s-c-o-n-n-e-s-s-o dell’anno. Ma, se avete la battuta pronta e siete in compagnia di qualcuno dotato di altrettanto sense of humour, sono risate assicurate.
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