Regia di Isao Takahata vedi scheda film
Quando l’animazione non è fatta solo per un pubblico infantile.
Arriva per la prima volta nei cinema italiani con un nuovo doppiaggio, come era già successo per altri titoli importanti, questo autentico e controverso capolavoro dell’animazione giapponese La tomba delle lucciole.
Uscito da noi in home video negli anni ’90, era un’opera introvabile, poco pubblicizzata forse per la tematica cruda e realistica, di cui avevo sentito parlare come di una pietra miliare dell’animazione.
In effetti, ha tutte le carte e le caratteristiche per esserlo.
Film unico nel suo genere, non si adatta per nulla ad una visione infantile da lieto fine buonista e felicità date per scontate, in prodotti più tradizionali e consolatori di questo.
Ho colto finalmente l’occasione di vederlo e devo dire che di fronte a una simile visione, senza paragoni, risulta davvero impossibile restare indifferenti.
Film dello studio Ghibli, uscito in concomitanza nel 1988 col più favolistico e positivo “Il mio vicino Totoro” di Miyazaki, è l’opera più tragica e straziante che mi sia capitato di vedere, che non concede spazio alla speranza, pur gettando un occhio veloce e rapido sul presente, prodotto di un triste passato.
Tratto dall’omonimo racconto semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka, pubblicato in Italia nel 2013, sceneggiato e diretto dal co-fondatore dello Studio Ghibli, Isao Takahata, è la dolorosa storia di due fratelli rimasti orfani travolti dagli orrori della seconda guerra mondiale, che lottano per la sopravvivenza.
È una denuncia molto forte, fatta con un linguaggio - quello dell’animazione - generalmente rivolto ai più piccoli, ma che diventa così ancora più efficace, quasi stordente, un duro atto d’accusa all’infanzia negata, alla follia della guerra che non ha pietà nemmeno dei più deboli e inermi.
Il film impressiona già moltissimo nelle sequenze iniziali, dove si vede un ragazzo morire di stenti, vinto dalla sofferenza e dall’indifferenza colpevole degli adulti che lo hanno abbandonato a se stesso, e capiamo subito dalle immagini e dai flashback che raccontano la vita e i ricordi dolorosi di questi due bambini - fratello quattordicenne e sorellina più piccola - che non siamo di fronte ad un’ opera consolatoria o edificante, e già sappiamo e comprendiamo cosa dovremo aspettarci.
Il film ci presenta già la fine, e da qui in poi sarà come ritornare sugli eventi, sui ricordi di due bambini che sono ormai solo spettatori esterni, fantasmi che rivivono il tragico passato, fino a ritornare all’epilogo.
Il film non risparmia nulla, i bombardamenti americani che bruciano villaggi e case, i cadaveri carbonizzati, corpi martoriati da piaghe, vermi e mosche, gente in fuga disperata, un paesaggio di macerie e desolazione ovunque affiancato a una natura che mantiene i suoi colori vivi e opulenti.
Il giovane Seita farà quanto è in suo potere per proteggere la sorellina di 4 anni Setsuko, dall’orrore della verità sulla morte della sua mamma, per proteggerla, sfamarla, darle un poco di quella serenità e speranza che sarebbe un sacrosanto diritto d’ogni bambino di questo pianeta.
Ma la guerra, che il Giappone sta per perdere, - e in una sequenza si vede un solo aereo che solca il cielo, ed è forse quello definitivo - incombe e rende gli uomini gretti, egoisti, duri perfino con i più sfortunati; le risorse alimentari scarseggiano e vanno razionate con severità.
Perfino la zia che inizialmente accoglie i due orfanelli si rivela meschina e poco generosa, figura che assume connotati antipatici e un po’ ottusi, incarna la mentalità dell’epoca, il concetto di servilismo alla nazione imperialista, che richiede sacrifici per un bene supremo che viene prima della vita umana, prima di due bambini che hanno perso tutto, casa e genitori; si scoprirà poi che il padre, al servizio della marina militare , è morto in un’azione di guerra e per questo non risponde agli appelli del figlio che cerca di contattarlo.
In una grotta artificiale lungo un fiume, tenteranno di vivere, o meglio sopravvivere all’orrore, alla disperazione, con grosse difficoltà, tra privazioni e stenti, lottando contro la fame e la sete, rubando se necessario.
E le lucciole del titolo, hanno senza dubbio un valore simbolico nella cultura giapponese, unica luce nel buio dell’esistenza, momento di gioia e meraviglia, emergono dall’oscurità ad illuminare i volti dei due fratelli in una delle scene più poetiche e struggenti di tutto il film, ma si spengono in fretta, come la vita (e forse esagero, per me è stato inevitabile pensare alla scena di un’altra arcinota, amata serie televisiva degli anni '80 dove comparivano le lucciole, insetti dalla vita breve che vivono lo spazio di una notte; che non sia una palese citazione questa? Anche lì, i personaggi, un uomo e una donna soldato, erano quasi fratelli in un contesto storico duro e difficile…) E non escludo che il film sia pieno di tante altre citazioni, forse non facili da cogliere ad una sola visione; anche la nave del papà ha un nome Maya, che potrebbe richiamare ad altro.
Siamo già consci di come il film andrà a finire e non possiamo aspettarci qualcosa di diverso, eppure non si può restare indifferenti né insensibili, di fronte ad un adolescente che assiste impotente alla sua tragedia personale e umana.
Un film che va visto, che solo come poche altre opere, esprime l’assurdità della guerra e la follia umana che la giustifica.
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