Regia di Michel Ocelot, Bénédicte Galup vedi scheda film
Non è un semplice sequel di Kirikù e la strega Karabà, uscito nelle sale nel ‘99. La strega cerca ancora di terrorizzare gli abitanti del villaggio, dopo averne sterminato quasi tutti gli uomini, ma Kirikù non ha solo lei da affrontare. Un rituale canto in suo onore - la colonna sonora è a cura di Youssou N’Dour, Rokia Traoré, Manu Dibango - chiude gli episodi che vedono l’enfant nue scoprire chi ha rovinato il raccolto, spronare la comunità a sviluppare capacità e indipendenza, sfuggire ai feticci armati della strega e guarire le donne da un avvelenamento. Nei colori e nelle forme di un tratto semplice ed essenziale si rintraccia l’influenza della pittura di Henri Rousseau e Paul Gauguin. Dimentico delle lusinghe tridimensionali, il layout predilige la verità del disegno (i seni cadenti e i sederi sporgenti di alcune donne del villaggio) con un movimento analogo alla semplicità filosofica della sceneggiatura. Come non fidarsi mai delle apparenze, ragionare con la propria testa, non farsi spaventare, riflettere e fare domande fino a che non otteniamo risposte. La manichea contrapposizione tra Bene e Male non fa parte di questo microcosmo di donne e bambini: a parte il saggio Nonno, infatti, che torna per imprimere al film la cifra sapienziale e il piacere del racconto, gli anziani rappresentano una stolida resistenza all’intraprendenza ponderata di Kirikù, che vuole superare l’odio e comprendere l’Altro. Una piccola, rara verità, e un auspicio per ogni continente.
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