Regia di Nanni Loy vedi scheda film
Dopo due film co-diretti con Gianni Puccini ("Parola di ladro" e "Il marito") e "Audace colpo dei soliti ignoti" (seguito, meno felice, del cult di Mario Monicelli) ecco il titolo che ha fatto conoscere al grande pubblico il nome di Nanni Loy e con cui il regista abbandona, almeno momentaneamente, il registro brillante delle sue prime opere. Con l'immediatamente successivo ed ancor più celebre "Le quattro giornate di Napoli", costituisce, nella filmografia del regista, un ideale e prezioso dittico bellico. Prodotto da Franco Cristaldi, scritto da Nanni Loy con Alfredo Giannetti (premio Oscar per la sceneggiatura di "Divorzio all'italiana" di Pietro Germi, con cui ha firmato altre opere fondamentali del nostro cinema tra cui "Il ferroviere" e "Un maledetto imbroglio"), interpretato da un cast da brivido, molto affiatato, efficace e convincente: Renato Salvatori, Romolo Valli, Tomas Milian, Nino Castelnuovo, Leopoldo Trieste, Corrado Pani, Saro Urzì, Anna Maria Ferrero, Valeria Moriconi e Carla Gravina. Loy racconta con passione, energia, vigore e ritmo un episodio realmente accaduto della resistenza italiana, descrivendo con affetto, partecipazione ed attenzione quasi documentaristica la sofferta realtà di paure, dubbi, sospetti, inquietudini, reticenze, ripensamenti e ristrettezze in cui erano costretti a vivere, operare e combattere i partigiani, perché, come si legge sui muri diroccati delle città, "senza casa sì, senza patria no!". Il grande merito del regista è quello di non sacrificare mai all'azione, comunque tanta, incessante ed avvincente, non solo un attendibile e veritiero quadro storico (significativo, per esempio, l'iniziale viaggio in treno di Michele, tra passeggeri che hanno il mito della Germania perché "i tedeschi sono cordiali, allegri, sereni" e denigrano gli americani "barbari che non solo sono destinati a perdere la guerra, ma anche a scomparire"), ma anche la precisa, incisiva e dettagliata analisi psicologica dei numerosi personaggi che animano la storia. Loy rivela così con slancio ed intelligenza, autenticità e grinta, evitando facile retorica o comode soluzioni narrative, la maturazione progressiva, il profondo coraggio e la forte integrità morale dei suoi protagonisti di fronte ad un dramma decisamente molto più grande di loro. Nel film uno dei ragazzi si chiede: "Ma perchè noi altri siamo così pochi? Ma cosa fa la gente a Roma?" "E' soltanto la fame, la paura" gli risponde Edoardo, il capo di quei "quattro gatti" che si sforzano di cambiare la realtà in cui vivono, evidenziando il terrore di una popolazione che non osa sfidare l'autorità, teme le ovvie e violente ripercussioni, preferisce vivere sottomessa, in modo passivo ed anonimo, di fronte ad un potere che minaccia e uccide. Certo il protagonista Donato e l'amico occasionale Gino (rispettivamente Nino Castelnuovo e Tomas Milian, ancora leggermente acerbi) non riservano particolari sorprese, essendo piuttosto scontati e convenzionali. Il primo è il classico bravo ragazzo dai solidi ideali e dalle alte aspirazioni che vuole ribellarsi all'imbarazzante stato delle cose ("Una massa di pecore siamo, io non ci resisto più" sbotta con gli amici all'università) e trova nell'avventura partigiana la vera concretizzazione delle sue convinzioni, la molla necessaria per una rivalsa che lo scuota dalla generale inerzia ed apatia e lo porti a contribuire, nel suo piccolo, alla causa del suo paese; il secondo è uno spavaldo e un pò burino giovane di periferia, scansafatiche, amante del gentil sesso, con una mamma ingombrante in tutti i sensi - forse l'unica vera macchietta del film - e uno stuolo di fratellini, che vorrebbe entrare nei bersaglieri ma scappa non appena vede che ci si deve tagliare a zero i capelli. Per caso si ritrova coinvolto nella missione, ma pur rivelando un carattere tenace e determinato, non sembra essere mosso da particolari desideri, quanto meno patriottici: il suo obiettivo sembra essere costituito, quanto meno inizialmente, dalla volontà di conoscere meglio la bella Mariuccia. Molto più interessanti sono invece i caratteri di Michele, Orlando ed Edoardo, interpretati da Leopoldo Trieste (il migliore, in un'ipotetica gara di bravura nella quale tutti comunque eccellono, anche perché alle prese con il ruolo più sfaccettato e complesso), Renato Salvatori e Romolo Valli. Michele è un umile, goffo, impacciato e semplice ragioniere che lascia l'avvenente fidanzata Ida per trasferirsi, con i suoi colleghi del ministero al nord. Spaventato dai discorsi che sente sul treno, alla prima fermata del mezzo, con la complicità di un capostazione riesce a fuggire e torna in città. Con l'amico Danilo, per cui la vita, a suo dire è molto più facile, dal momento che è nipote del monsignore e vive nel convento con tutte le dovute protezioni, si dà alla macchia dopo che il tram sul quale viaggiano viene fermato dai tedeschi. Michele a volte quasi rimpiange il fascismo perché in fondo, sostiene "La massa deve essere disciplinata, deve essere comandata. Un capo deve esistere e deve avere il suo fascino". Giustifica il suo atteggiamento, all'apparenza timoroso, incerto e titubante, con il fatto di essere realista, perché "Gli eroismi ridicoli mi ripugnano". E' consapevole di stare vivendo un'esperienza unica che probabilmente entrerà nella storia, tanto che immortala in una serie di fotografie Edoardo, dopo che l'uomo ha perlustrato con Danilo il ponte che devono colpire (foto che verranno poi consegnate alla vedova di Edoardo in ricordo del marito). Quando rivede la sua amata Ida, cantante in uno spettacolo di cabaret e scopre che si accompagna ad un tedesco, dopo che Ida ha fatto finta di non conoscerlo, reagisce male e viene fermato per un controllo. L'atroce paura di essere arrestato (non ha i documenti con sè) e l'incubo della prigione e probabile morte, lo spinge quasi a rivelare il segreto che custodisce. Il volto sudato, paonazzo e terrorizzato del grande Leopoldo Trieste esprime al meglio il suo stato d'animo di totale impotenza, apprensione e disperazione, tanto che è persino disposto a tradire e condannare gli amici pur di avere salva la pelle. Una condizione probabilmente comune a tanti in quel tragico periodo. Per sua fortuna una telefonata gli...allunga la vita: Ida che evidentemente si sente in colpa per non averlo riconosciuto, preoccupata per il destino del suo innamorato, riesce a salvarlo con la complicità dell'ignaro ufficiale tedesco, che, stuzzicato da Ida che mette in dubbio la sua importanza, le dimostra quanto effettivo potere abbia, con la sua divisa, sulle autorità italiane. Tornato dai suoi compagni, Michele avrà poi modo di dimostrare in missione tutto il suo coraggio. Romolo Valli e Renato Salvatori interpretano invece due amici di vecchia data, Edoardo e Orlando, anche compagni di prigione, partigiani che hanno sacrificato tutto, persino la famiglia ed ogni altro legame affettivo, per la loro lotta. Edoardo, "un matto" per alcuni suoi amici, per come va allo scoperto per preparare minuziosamente le sue missioni (si veda il sopralluogo sul ponte con Danilo), è stato spesso accusato dalla moglie di non avere voluto lavorare per non essere al servizio dei tedeschi. Quando chiede a Danilo se odia i tedeschi, infatti, sostiene che "Per combatterli è necessario odiarli!". L'attesa è la tecnica migliore per colpire gli avversari ("Aspettare, bisogna sempre aspettare" dice), oltre al giusto coraggio e fermezza. I sentimenti, purtroppo, non possono trovare spazio in guerra: così giustifica allo scosso e turbato Danilo la brutale e necessaria uccisione di Mortati (una sequenza molto forte, costruita con un crescendo inarrestabile di tensione, conclusa con uno sparo fuori scena), vecchio compagno di liceo del ragazzo, uno che all'università, grazie alla divisa militare riusciva a passare tutti gli esami (l'incipit mostra molto bene in questo senso il clima di totale asservimento che esisteva nei confronti del fascio e che scatena la reazione furiosa di Danilo). Edoardo ha due figli, ma quasi non li conosce, essendo sempre lontano da casa, costretto a nascondersi. Significativo lo sfogo della moglie che ricorda come in 16 anni di matrimonio non hanno mai avuto pace ed è ben consapevole del fatto che il marito, anche in punto di morte, nonostante il sacerdote cerchi di convincerla del contrario, non abbia pensato a lei ed ai suoi figli, ma ai suoi uomini ed alla missione che devono ancora compiere. Orlando a sua volta è un uomo determinato a portare avanti i suoi progetti ("Noi siamo qui solo per questo, mica perché ci siamo simpatici l'uno con l'altro" sentenzia al sergente), che rimane sconvolto non appena apprende della notizia dell'arresto di Edoardo, come rivela la splendida sequenza in cui è a letto con la moglie, da cui è tornato dopo una lunga assenza. L'uomo ha accanto la moglie ed il figlio addormentato, ma è come se non ci fossero: fuma una sigaretta, lo sguardo perso, assente, rivolto verso il soffitto, la mente occupata da mille preoccupazioni, da continui tormenti. Il pensiero va all'amico Edoardo e a cosa "gli faranno". Orlando sa benissimo che il destino dell'amico è segnato, che Edoardo comunque non parlerà e questo lo fa stare male. A nulla valgono le attenzioni della moglie che si sforza di ripetergli inutilmente, abbracciandolo e baciandolo, di non pensarci più. Un'immagine lucida e straziante che rivela, con emozione ed intensità, il profondo ed intenso legame che si creava tra questi uomini, abituati a vivere perennemente nascosti, ma talmente convinti delle proprie idee da essere pronti anche al sacrificio estremo pur di non tradirle. Da non sottovalutare poi la presenza femminile: Loy con poche ma sapienti pennellate mette in evidenza il ruolo in apparenza marginale, ma in realtà fondamentale, di queste donne, che gestivano da sole la casa e la famiglia ed aspettavano ansiose, angosciate, in silenzio e trepidanti il ritorno dei loro uomini, con il terrore ogni giorno di ricevere la notizia del loro arresto o della loro morte. Un film sincero, profondamente umano e sensibile, appassionante, acuto e credibile, con momenti commoventi (il già citato sfogo della vedova di Edoardo, il sacrificio di Michele), altri quasi divertenti pur nel loro amaro realismo (il furto della vacca e la conta per ucciderla, senza che poi nessuno dei ragazzi abbia il coraggio di compiere il gesto), altri ancora di grande tensione (la sistemazione dell'esplosivo sul ponte in condizioni proibitive tra pioggia battente, buio, vertigini, tedeschi ubriachi e festosi che cantano "O sole mio", treni che non devono essere colpiti dalle bombe e costringono ad azioni improvvisate, sacrifici estremi). In un'opera altamente drammatica, infine, un episodio irresistibile: dopo che Michele ha visto, quasi ammaliato, la sua Ida cantare la celebre "Ma le gambe" davanti ad una platea per lo più di estasiati ed eccitati ufficiali tedeschi, si alza applaudendo, con fragoroso e compiaciuto entusiasmo, la sua ragazza. Commenta, quindi, con uno spettatore davanti a lui lo spettacolo e cerca, senza molta credibilità a dire il vero, di minimizzare sul talento di Ida: "Simpatica, bravina!", dice, nella speranza di avere dal suo interlocutore una replica celebrativa e lusinghiera sulle doti della ragazza. Secca ed inequivocabile invece la risposta dell'uomo, un pò avanti in età ed in realtà piuttosto annoiato ed indifferente: "Bona, più che altro!". Come stemperare la tensione con un episodio certo marginale, ma gustosissimo nella sua allegra spontaneità. Anche questo è segno di grande abilità registica. Montaggio essenziale del grande Ruggero Mastroianni, musiche funzionali di Carlo Rustichelli, ottima fotografia di Marcello Gatti (sue le immagini anche del successivo "Le quattro giornate di Napoli", ma anche di "La battaglia di Algeri", "Che?", "Anonimo veneziano" e "Girolimoni", giusto per citare i suoi titoli più celebri).
Voto: 7 e mezzo.
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