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Vita da bohème

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Vita da bohème

di pazuzu
8 stelle

Nella banlieue parigina di Malakoff tre uomini poveri e spiantati cercano di tirare avanti le proprie esistenze ispirate alla nuda devozione all'arte e alla costante ricerca della libertà sotto ogni forma. Sono Marcel, Rodolfo e Schaunard: il primo è uno scrittore con pronto un romanzo di dimensioni proibitive che però l'editore snobba pretendendo sostanziosi tagli, non paga l'affitto da mesi ed è stato appena sfrattato per morosità; il secondo è un pittore giunto tre anni prima dall'Albania, vive col suo cane, che ha chiamato Baudelaire, e si diletta in ritratti ed opere per le quali trae ispirazione dalla vista offerta dalla propria finestra; il terzo è un musicista, e nell'appartamento lasciato forzosamente libero dal primo subentra con il proprio pianoforte ed il vago progetto di una composizione importante.
È proprio nel giorno dell'avvicendamento che i tre fanno reciproca conoscenza: prima Marcel incontra Rodolfo in una tavola calda trovando in lui una valida sponda per le proprie discettazioni auliche, poi, spostandosi con lo stesso presso l'abitazione da cui è appena stato cacciato, vi trova Schaunard, col quale una discussione inizialmente accesa è presto stemperata tra calici di buon vino rosso.
Scapestrati ed irresponsabili, ma spigliati e forniti di una fantasia fervida ed attiva generatrice di un inesauribile repertorio di astuzie, i tre condividono la stessa orgogliosa ed ostentata cultura classica, lo stesso testardo anarchismo e lo stesso sincero rifiuto di ogni appiglio alla convenzionalità, la stessa innata capacità di sguazzare tra le avversità cercando di uscirne arricchiti e lo stesso genuino talento nel sapersi adattare agli stenti trasformandoli in risorse; vivono fuori dal tempo, lontani dalla frenesia e dal cinismo di una cultura che non riconoscono e che non li riconosce, allergici ai codici ed alle imposizioni di un mondo che ignorano e che li ignora, salvo bastonarli al momento propizio: per questo sono preferibilmente soli e fondamentalmente falliti, ma sinceramente illusi di potersi destreggiare comodi su ogni tipo di asperità. Così per Marcel è logico presentarsi ad un importante colloquio di lavoro preoccupandosi di rimediare una giacca nera ma senza curarsi di avere ai piedi due scarpe di diversa forma e colore, per Schaunard è normale prendere a pugni un taxista reo di avergli chiesto soldi al termine della corsa, e per Rodolfo è necessario inventare patetiche storie di abbandono per guadagnare dalla cassiera del banco dei pegni un po' di pietà e qualche franco in più.
La vie de bohème mostra un segmento delle vite di questi uomini partendo dall'inizio del loro sodalizio, sorto sulle basi di una vera e propria affinità elettiva, passando attraverso le disavventure economiche e sentimentali che li coinvolgono: Aki Kaurismäki dirige sceneggia e produce aggiornando Scènes de la vie de Bohème, l'opera che Henri Murger pubblicò a metà del XIX secolo divisa in 21 parti, le stesse del melodramma che Marcel nel film non riesce a far uscire dal cassetto, e non mancando di omaggiare ulteriormente l'autore facendo dormire Rodolfo sulla sua tomba la notte in cui offre il proprio letto a Mimi, colei che poi diverrà l'oggetto del suo amore («io sono focoso, e lei è molto graziosa: andrò a casa di un amico»).
Nel bianco e nero livido e contrastato del fedele Timo Salminen il regista finlandese staglia un racconto che progredisce per piccoli passi, con un susseguirsi di sequenze brevi che viaggiano talvolta sul filo del paradosso, attraversate in lungo e in largo da un senso dell'umorismo surreale e stravagante. Molti sono i momenti indimenticabili, tra i quali è impossibile non citare la scena della prima visita in casa di Rodolfo dell'ingessato cavaliere Blancheron de Nantes, che ci entra per commissionargli un ritratto da 500 franchi e ne esce dopo qualche ora con un quadro già ultimato (che ne castiga inesorabilmente lo sguardo allucinato) ma ad un prezzo più che raddoppiato, ed ignaro di aver nel frattempo dato anche in prestito la propria giacca.
Tra gli attori, oltre al divertente e divertito Jean-Pierre Léaud nel breve ruolo dell'appena citato cavaliere, sedicente industriale dello zucchero, dopo aver segnalato le rapide apparizioni di Samuel Fuller e Louis Malle (rispettivamente nella parte di Gassot, il magnate destrorso della stampa che assume Marcel come caporedattore di una sua rivista, e in quella dell'uomo gentile che in un ristorante prova a togliere Rodolfo dai guai), un plauso particolare va a Matti Pellonpää ed Evelyne Didi: lui, compianto attore feticcio del regista - miglior attore protagonista agli European Film Award del 1992, mentre il miglior non protagonista fu André Wilms nella parte di Marcel -, riesce con quell'aria a metà tra l'impassibile ed il malinconico a rendere a suo modo romantico un tipo come Rodolfo, capace di corteggiare una donna preparandole il brodo con l'osso appena sfilato dalla bocca del proprio cane; mentre lei, attrice francese tornata a lavorare con Kaurismäki, al pari di Wilms e Léaud, nell'ultimo Le Havre, nei panni di quella donna (Mimi) ci entra come fossero la sua seconda pelle, caricando in quel volto malinconico dalla capigliatura arruffata tutta la tristezza e la rassegnazione di chi, nato nei bassifondi, non crede nell'utopia della riscossa sociale né, come invece Rodolfo e i suoi due amici, nell'opportunità di una vita all'insegna del (dis)impegno esibito e di un'estrosa ed assidua (quanto sfiancante) fuga dagli schemi. ****½

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