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I giorni dell'ira

Regia di Tonino Valerii vedi scheda film

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La recensione su I giorni dell'ira

di scapigliato
8 stelle

Cresciuto come servo bastardo per tutta Clifton, il giovane Scott (Giuliano Gemma) si ribella ai soprusi solo dopo aver incontrato il grande Frank Talby, ovvero il grande Lee Van Cleef. Questi però non è il buon mentore di tanto cinema formativo, bensì un killer spietato che ha sì a cuore il giovane Scott, ma che pensa prima di tutto al proprio tornaconto. Dopo la bellissima parentesi fuori Clifton, ovvero a Los Albaricoques nella stessa strada in cui Eastwood e Van Cleef passeggiavano in “Per Qualche Dollaro in Più”, ritornano in città decisi a far mangiare polvere a chi fino a quel momento aveva comandato ingiustamente, come il banchiere Turner, il padrone del saloon Murray (Andrea Bosic) e il corruttibile giudice Cutchell (Amman). Alla fine sarà il Saggio Murphy (Walter Rilla) a rivelarsi il vero mentore per Scott, e grazie a lui impugnerà la mitica colt rielaborata di Doc Holliday e sfiderà a duello il cattivo Talby, uno dei duelli più classici e per questo sempre mitico e per nulla databile.
É un gran bel western, e il fatto che ci sia Valerii alla regia non è poco. Grazie a lui si respira un’impostazione leoniana, ma non del tutto. Un’atmosfera classica che fa da cornice ad un motivo, quello del vecchio e del giovane prima uniti da un rapporto quasi paterno e formativo, poi messi uno contro l’altro, rivisitato più volte e in più sfumature da tutto il cinema, che avrà uno degli esempi migliori proprio con un altro SW di Valerii: “Il Mio Nome è Nessuno”. L’Almeria è fotografata e ripresa benissimo, e quei luoghi diventano davvero co-protagonisti dei movimenti di Gemma, Van Cleef, Muloch, Bosic e altri. Le entrate a cavallo, i duelli tra le case bianche, le cavalcate nella Rambla de Tabernas, il duello finale nella main street: ne “I Giorni dell’Ira” c’è lo spessore dello SW più classico, e l’impronta di un autore a tutto tondo come Tonino Valerii che sa differenziarsi da Leone per un’introspezione psicologica più evidente. Non che in Leone non ci fosse, perchè i suoi personaggi erano figure che veicolavano degli istinti e delle emozioni ben evidenti, ma i conflitti come quelli padre e figlio, tra bene e male, legge e giustizia privata, trovano in Valerii e soprattutto con “Il prezzo del Potere” una resa più esplicita, quasi più politica. Nel rapporto/scontro tra Gemma e Van Cleef, che è quello tra un figlio orfano di padre ed un padre mancato, ci sono spinte autodistruttive molto forti, che nascono da un’inquietudine palese. Mentre nell’oppositivo rapporto con il saggio Murphy, c’è ugualmente inquietudine, ma perchè è generata dall’incontro di Talby. Prima del suo arrivo infatti, Scott deve tutto al vecchio vicesceriffo che conobbe addirittura Doc Holliday. E alla fine gli darà ragione, sebbene morto, mentre getterà via la pistola del famoso dentista dell’OK Corral.
Ma un altro aspetto importante del film è la feroce interpretazione della comunità perbenista che è in realtà un covo di vipere, un po’ come in “Se Sei Vivo Spara!” di Questi. Qui, un giudice corrotto, un banchiere di rispetto ed altri onorabili cittadini, come additano e ripudiano il servo spalamerda di Giuliano Gemma invocando la moralità e la classe che spetta ai civili cittadini, altrettanto sono meschini, vili e doppiogiochisti. I famosi sepolcri bianchi con il marcio dentro della tradizione cattolica trovano anche qui una loro rappresentazione efficace. Anche se il cinema di Valerii e di Leone è meno politico di quello di Damiani o Lizzani o altri, non può essere trascurato. Mentre altri cineasti erano più dichiarati, Valerii e Leone cercavano di confondere le carte e magari stereotipizzare i personaggi solo per farli rientrare nel loro gioco narrativo e immaginifico. In realtà sono anche personaggi impregnati pure di signficati politici

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