Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
…e le figure di Sokurov galleggiano nel loro mondo incantato, lievi e quasi ingenue, come delimitate in tableaux vivants continuamente vibranti di pura emozione cinematografica.
Le immagini di Aleksandr Sokurov emulano il sublime, fanno trasmigrare la spettacolarità della natura nell’Arte, in una forma assoluta e purificatrice. Nella loro levità e nella loro raffinatezza, le sequenze del Sole rivendicano, al contrario del personaggio di Hirohito, la loro natura divina. Diversamente da Hitler e da Lenin negli altri due episodi della trilogia sul Potere (Moloch e Taurus), Hirohito non sta decisamente impazzendo. Così come le figure qui meno si disperdono (nel bunker e nelle abitazioni imperiali), allo stesso modo la mente dell’imperatore è stabile e si porta verso una depurazione di se stesso e dell’intera sua cultura, perché dopotutto “lui stesso è il Giappone”.
Il Sole fa respirare allo spettatore l’aria satura e pesante della fine. Gli eventi che succedono lo scoppio della bomba di Hiroshima compongono una quiete dopo la tempesta esplosiva, e sono di conseguenza appesantiti da un mondo esterno alla residenza e al bunker dell’imperatore, un mondo esterno distrutto in cui non si riesce, letteralmente, a definire alcun tipo di immagine lucida e nitida. Tutto vira verso l’opaco, quando Hirohito si disperde nei sogni e nell’esterno. Quando osserva gli uomini combattere per un pezzo di pane fuori dal suo veicolo, quando si accorge che i soldati americani hanno concluso col paragonarlo a Charlot, Hirohito capisce che lui stesso deve farsi portatore di una fine, una cultura costretta a fare harakiri. Una palingenesi, quella successiva alla bomba atomica, successiva alla piazza pulita di un’intera civiltà. Verrebbe da dire, ancora una volta, che “fare il deserto viene chiamato pace”, ma siamo in ben altre circostanze. Qui il punto di vista è un potere decisamente strumentalizzato, l’espressione massima di una vacuità (l’idea stessa di divinizzare l’imperatore) che maschera l’intento meramente politico dei ministri, che mai – secondo le parole di Hirohito – avrebbero avvertito l’imperatore dell’attacco a Pearl Harbour. La conseguenza di simile incedere è un isolamento ancora maggiore dell’imperatore, che va lentamente costatando come il tempo richieda un grande cambiamento: il nonno imperatore Meiji “mentiva” secondo una “licenza poetica” annunciando di vedere l’aurora boreale, e il proprio ruolo di imperatore divino comincia a stargli “scomodo”, poiché avverte lui stesso la debolezza e la fragilità del suo essere. E certo Sokurov si guarda bene dall’indicare la cultura occidentale come possibile alternativa, perché è lo stesso comandante MacArthur a dire che gli americani “non fanno, comprano”. Come in quadro romantico, però, al confine profondo con l’idealismo, Sokurov dipinge Hirohito come un uomo che eroicamente accetta i suoi limiti e cerca disperatamente di perdonare se stesso. Nel tremolio delle sue labbra e nell’esitazione dei suoi comportamenti si comincia a delineare una nuova poesia dell’essere umano che perde i suoi connotati divini e assume connotati sempre più umani, fino all’incontro con la moglie e alla riscoperta dell’affetto. Perché essere un imperatore divino era come stare isolati dentro il Palazzo d’Inverno, un cimelio storico che navigava e navigava nel mare della Storia senza fermarsi mai, a meno che non si decidesse di toccare con mano il proprio corpo e dunque i propri limiti. In questa scoperta, in questa rinuncia, in questo metaforico harakiri, Sokurov però intravede l’infinito, quell’infinitesima meraviglia che solo il Cinema sa ricreare, spingendo il suo protagonista ad un’autocritica che passa proprio dal Cinema (Hirohito è un chapliniano grande dittatore, e comincia a ballare spegnendo le candele e non più giocando con la sfera terrestre, come per dire che non si giocherà più con il destino dell’umanità, ma la si concederà alla prosperità della pace ponendo fine alla guerra e al suo fuoco). Nella riscoperta, dunque, dell’umanità, l’infinito. Il vero significato (estetico) del Sole sta nell’idea che qualunque essere divino sulla Terra non potrà fare altro che sentirsi solo, la solitudine come alternativa alla follia di Moloch e Taurus, un percorso diverso teso alla scoperta di qualcosa di nuovo, di poetico, di rivitalizzante, che disperde la sua natura strettamente politica e, nel film di Sokurov, si libra come pura e semplice poesia.
Il cinema di Sokurov ricorda a qualsiasi cinefilo cosa vuol dire fare Cinema contemplativo, e toccare le corde più profonde dell’animo umano.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta