Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
In tempi in cui gli uomini di potere pensano ancora di essere dei “Gesù Cristo”, non c’è niente di più ovvio che altri, durante la storia, siano potuti diventare “Il sole”, che dà calore, sostentamento, quindi luce e vita, non solo all’umanità tutta.
La vicenda raggelante e surreale di Hirohito, durante la fase storica che determinò la terribile sconfitta del Giappone, è rappresentata all’interno delle coordinate stilistiche tipiche del cinema di questo autore “estremo” e praticamente unico nel panorama filmico mondiale: Aleksander Sokurov, che si è già occupato della vita privata di Hitler in Moloch e del periodo finale dell’esistenza di Lenin in Taurus. Un autore che indaga fino in fondo e in modo anticonvenzionale nella sfera esistenziale di uomini di potere che hanno vissuto e agito, come sostiene lo stesso Sokurov, in una “situazione anormale”. Per cui l’Hiroito di Sokurov è in preda a tic nervosi, non vede la moglie e i figli, se non attraverso un album di famiglia, simulando un contatto fisico che gli è ormai negato nella vita di tutti i giorni, scrive poesie, studia la biologia marina e, stranamente, ama le star di Hollywood.
Il film descrive un preciso momento storico, quando le forze militari americane ormai stanno per prendere il controllo del Giappone. Hirohito, l’imperatore nipponico, vive in totale isolamento in un bunker sotterraneo, circondato da servitori fedelissimi, in attesa che il nemico arrivi. La sua condizione è di totale distacco dal mondo, ma dopo un incontro con il generale McArthur prenderà una decisione storica, legata alla realtà della situazione: rinuncerà alla sua “natura divina”, gesto emblematico che corrisponderà all’inizio della rinascita di un Giappone totalmente devastato dalla guerra. Infatti, solo in seguito a tale rinuncia, Hirohito riacquisterà una dimensione di apparente serenità, che gli permette di riabbracciare sua moglie. E’ straordinaria la sequenza in cui Sokurov riprende i due finalmente soli, come una coppia qualsiasi: entrambi ridono, si sfiorano, parlano dei figli che li attendono fuori.
Il grande cineasta russo ha realizzato un’opera (d’arte) di grande impatto, non solo visivo, ma soprattutto intellettuale e ideale. A mo’ dei grandi poeti ermetici, ha messo a nudo i suoi personaggi, come fossero “ossi di seppia”. Il rigore delle forme, fa di questo film la conclusione di un trittico in cui sulla tela c’è il colore del rosso-sangue, ma soprattutto il bianco che richiama alla pace. Coadiuvato da una fotografia (anch’essa da lui firmata) caratterizzata da colori di natura morta e da una luce fievole, ma fortemente espressiva. Anche l’ambientazione, contribuisce a fare di Hiroito il Minotauro, rinchiuso nelle sue claustrofobie ideali e vitali, circondato da servi-fantasmi, compartecipi di un incubo onirico. Eccezionale anche l’interpretazione di Issey Ogata nei panni dell’imperatore Hirohito. E’ fuori di dubbio che la mimica di Ogata ha molto di Chaplin (Il grande dittatore) e di ogni movenza che appartiene a Buster Keaton.
Insomma, in tempi duri e privi di luce come quelli che stiamo vivendo, Sokurov è capace di farci vedere il bene nella catastrofe, il sole dentro la tempesta, con quell’unica certezza, assolutamente pacifista, che “A levante e a ponente il mondo aspetta che passi la tempesta”.
Giancarlo Visitilli
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