Regia di Dani Levy vedi scheda film
Jaeckie Zucker è il nome adottato da Jacob Zuckerman, ebreo tedesco rimasto a Berlino da adolescente durante la guerra, e cresciuto come commentatore sportivo nel socialismo reale, in polemico distacco dalle sue radici. Al di là del Muro invece hanno vissuto, finora, il fratello Samuel e la madre, appena deceduta. Le ultime volontà della donna imporrebbero un funerale ortodosso, l’osservanza della shivah, la settimana di lutto ebraico, e la riconciliazione dei fratelli, pena la perdita del patrimonio. Jaeckie e la sua sgangherata famiglia però non sono osservanti, e inoltre l’uomo sta proprio in quei giorni cercando di riscattarsi dai debiti partecipando a un fatidico torneo di biliardo, specialità in cui eccelle e che sintetizza la sua visione della vita come azzardo. Ernst Lubitsch, Mel Brooks e Woody Allen sono lontani anni luce (se non per la finale, implacabile, apparizione celeste della Uber-Mamma Ebrea). Il prevedibile, auspicato apparato di tradizione ebraica su cui ironizzare è piuttosto scarno, è tutto esterno, formale, ma soprattutto lo script non spicca per umorismo yiddish. Qui semmai quello che funziona è il meccanismo della farsa, pur se qua e là prevedibile e zoppicante, condita di elementi da commedia interculturale e programmatiche “aperture” sessuali (la figlia lesbica, il figlio inibito, la nipote ninfomane, il bordello idilliaco). Tutto grazie a un travolgente Henry Hübchen e ad un contorno di caratteristi espressivi.
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