Regia di Edouard Molinaro vedi scheda film
Un uomo uccide la sua amante gettandola da un treno in corsa. Riesce a far credere in un incidente e la fa franca. Il marito della donna, però, è sulle sue tracce e ne organizza meticolosamente l’assassinio, mascherandolo da suicidio. Tutto sembra filare liscio ma, mentre si allontana dal luogo del delitto, si rende conto di essere stato visto da un autista di taxi, chiamato pochi minuti prima proprio dalla vittima. Come indicato dal titolo originale, inizia la caccia al testimone (che vaga) nella città. Il malcapitato viene raggiunto e ucciso, ma da quel momento il suo cacciatore diventa preda, un uomo braccato da un piccolo esercito di radio-taxi.
Solidissimo noir della miglior tradizione, “Un témoin dans la ville” costituisce uno degli esiti più riusciti nella filmografia di Edouard Molinaro. Oltre alla splendida prestazione di Lino Ventura, come sempre garanzia di un livello recitativo elevatissimo, il film rispetta e valorizza tutte le regole del genere. La vicenda si svolge in una Parigi fine anni ’50 notturna e piena di vita, resa ancor più suggestiva dal magnifico bianco e nero in cui è fotografata. “Métro”, “bistrots”, vicoli bui e sinistri personaggi accompagnano ovviamente l’intera vicenda, commentata da una colonna sonora jazzistica che ricorda da vicino la celebre tromba di Miles Davis in “Ascensore per il patibolo”, il capolavoro di Louis Malle, realizzato appena due anni prima. Siamo in presenza di una felice coproduzione italo-francese dell’epoca, che si traduce per la parte italica nella partecipazione di due grandi attori come Franco Fabrizi e Sandra Milo. Al primo, in particolare, viene affidato il classico ruolo che – come si usa dire - gli calza a pennello, quello del brav’uomo trovatosi nel luogo sbagliato al momento sbagliato, una vittima designata e per lungo ignara del pericolo che sta correndo. Anche se di minor rilievo, il personaggio incarnato da Sandra Milo è a sua volta di tutto rispetto. L’attrice possiede ancora il fascino e la leggerezza dei primi anni di carriera, la genuina bellezza e naturalezza che confermerà in grandi pellicole come “Adua e le compagne” (1960) e “La visita” (1963), entrambe di Antonio Pietrangeli, per poi esplodere in “8 e mezzo” (anch’esso del 1963) di Federico Fellini, nel ruolo che la immortalerà. Tornando a Lino Ventura, l’attore si trova manifestamente a suo agio in un genere che conosce a menadito, anche se solo raramente si era visto e si vedrà assegnare personaggi così efferati e brutali. Come è noto, però, questo autentico monumento del cinema italo-francese è riuscito ad essere perfetto in ogni genere, dal drammatico alla commedia, passando per ruoli tragici; è stato sbirro, spia, gangster, padre di famiglia, avventuriero e quant’altro, senza mai sbagliare un colpo. In questo film è molto solitario, parla pochissimo, agisce in silenzio e nella penombra. La tensione e il nervosismo che trasmette contagia lo spettatore in un crescendo che rimanda volutamente al “noir” americano degli anni ’40 e ’50. Ottima infine la trovata dell’accerchiamento da parte dei primi radio-taxi parigini, insediatisi nella capitale francese poco tempo prima della realizzazione di questo gioiello cinematografico.
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