Regia di Elio Petri vedi scheda film
Cesare Conversi, stagnaro, si trova a riflettere sulla propria vita dopo avere casualmente assistito all'improvvisa morte di uno sconosciuto, pressappoco suo coetaneo, sull'autobus. Vedovo da tempo, Conversi vive da solo in una camera a pensione; ha un figlio che però va a trovarlo soltanto quando ha bisogno di soldi, usando come arma il nipotino. La riflessione cui è spinto l'uomo a seguito della morte dello sconosciuto verte sul senso stesso della vita e, non riuscendo a trovare delle risposte, Conversi lascia il lavoro e comincia a vagare per la città. A quel punto, il film di Petri assume un andamento quasi da partitura jazz, non dissimilmente da alcune coeve prove della nouvelle vague o di Cassavetes. Il protagonista cerca una vecchia fiamma, torna al paesello d'origine, si aggrega ad un «impiccio» per spillare soldi all'azienda dei trasporti.
In questo Cesare Conversi la riflessione sulla vita, condizionata da una sopravvenuta ossessione della morte, è consapevole e impellente, ma al tempo stesso anche irrequieta. Cesare domanda al medico quando morirà e gli confessa la propria paura del cancro, anche se contemporaneamente continua a fumare trenta sigarette al giorno. Il nostro stagnaro si pone domande per le quali risposte certe non ci sono e non pensa nemmeno lontanamente di poter trovare quelle risposte grazie a Dio o alla religione. Diversamente da Bergman, Petri, attraverso il personaggio di Cesare, non si pone il problema del silenzio di Dio: caso mai, ritiene che l'uomo del nostro (del suo) tempo possa trovare brevi attimi di serenità nel ritorno a un periodo della vita nella quale la morte è un pensiero lontano, come sembrano dimostrare la sequenza della corsa in vespa dietro all'automezzo dei pompieri, il prestito di cinquantamila lire che il protagonista fa alla figlia della sua affittacamere e il fatto che quando Cesare incontra Giulia (la sua ex) la porta al cinema. Sull'arte in generale, come mezzo per esorcizzare la paura della morte, invece, Petri non sembra nutrire eccessiva fiducia, anche perché spesso i critici, con riferimenti fin troppo intellettualistici (si pensi anche al personaggio del "professore", interpretato da Caprioli), ne tengono lontano l'uomo comune, il quale pure ne avverte la fascinazione. A questo uomo comune, qui degnamente rappresentato da Cesare Conversi, non resta che sospendere il giudizio e riprendere a lavorare, attività che ha almeno il pregio di non consentire di pensare troppo.
I giorni contati è il primo capolavoro di Elio Petri, che si vale, per le sue partiture, di uno strumento eccezionale come Salvo Randone, un interprete che dimostra come si muovono gli interrogativi di sempre anche attraverso i simboli della modernità e che avrebbe potuto reggere un intero film anche recitando da solo.
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