Regia di Jean-Louis Trintignant vedi scheda film
Dalle 18 di un sabato alla stessa ora della domenica successiva un fornaio, spostandosi in sidecar insieme alla vecchia madre, uccide con modalità sempre diverse i nove giurati che avevano condannato a morte suo figlio. Forse il modello voleva essere La sposa in nero, con l’innesto di una robusta dose di grottesco: i dialoghi sono ridotti al minimo, ed è impossibile prendere sul serio il fumettistico Jacques Dufilho come serial killer; peraltro si ride meno di quanto ci si possa aspettare (direi una sola volta: quando il fornaio sta per uccidere il fratello di una delle vittime designate, ma si accorge in tempo dell’errore e se ne scusa). Però il vero problema è che nove omicidi sono troppi: non c’è tempo di dare spessore ai personaggi, dei quali non si conosce quasi nulla e che così restano confinati nel ruolo di semplici bersagli (a differenza di quanto accadeva in Truffaut); d’altra parte si rimane con la curiosità di sapere quale crimine abbia mai potuto commettere il ragazzo, che nella foto che il padre porta sempre con sé appare un innocuo bamboccione vestito alla marinara. Trintignant, che dirige il suo primo film, si ritaglia un cameo nel ruolo di un regista teatrale alle prese con un allestimento dell’Amleto.
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