Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film
Un film perfetto. Esemplare, sotto ogni punto di vista: sia quello tecnico, sia quello estetico, sia quello della fedeltà nella ricostruzione storica, sia quello dell’utilità per la riflessione collettiva.
Tecnicamente, la regia e il montaggio non fanno una piega. Non c’ è quasi nulla di troppo, e nemmeno di “troppo poco”, pur in una pellicola lunga come questa, di due ore piene.
Esteticamente, eccelsi sono: la recitazioni di Volontè (come del resto sono ben rette tutte le altre parti, fino ai comprimari); la colonna sonora di Morricone; la fotografia; i costumi; la scenografia, che per fortuna ritrae come pochissimi altri film hanno saputo fare le meraviglie di una parte assai significativa della storia dell’arte italiana, e dunque mondiale, come quelle che si potevano trovare in Roma e Venezia a fine ‘500.
La ricostruzione storica è pregevolissima, e soprattutto sacrosanta nella sua veridicità, e nella sua utilità alla riflessione di ogni individuo: mostra tutti i ritardi, pieni di gravissime conseguenze, cui la cultura, e quindi la società, italiana hanno subito a causa del concilio di Trento (ma del resto ciò è stato subìto in tutte le tantissime contrade estere in cui la Chiesa cattolica riusciva a mantenere quel monopolio culturale che voleva a tutti i costi). Il personaggio usato per far passare questo messaggio è Giordano Bruno: come noto, il più grande intellettuale della fine del ‘500, in un’Europa dilaniata dalle guerre di religione, e dalle censure dei cattolici (dove questi riuscivano a mantenere il primato, con mezzi come la minaccia, la tortura e la morte, assieme a quelli della persuasione e dell’amore evangelico: se poi questa commistione di modi così inconciliabili tra loro sia voluto dal Vangelo, sia indifferente ad esso, oppure sia contrario ad esso, lo sa la singola coscienza competente di ciascuno che è interpellato da questi lampanti fatti storici).
Bruno fu un intellettuale che aveva a cuore l’amore del prossimo, credendo che ciò (come qualsiasi altra convinzione rilevante) dovesse basarsi sulla verità e non, però, sulla menzogna, la quale porta drammi poi, sugli argomenti seri. E sulla verità si impegnò come pochi altri nel mondo al suo tempo (e come pochi altri nel mondo in generale), andando incontro a tutte le conseguenze: anche le peggiori conseguenze, qualora tale verità non fosse accetta alla maggioranza e al potere. Eppure tale errore (derivante dal non voler accogliere una verità che sia quantomeno sufficientemente evidente in sé stessa, nei pur pochi casi in cui ciò appare così) è avvenuto quasi sempre: prima, durante e dopo la sua vita; e sarebbe ora che smettesse. Perché smetta, basterebbe aumentare notevolmente, e il più possibile, questi fattori dell’opinione pubblica: 1) l’istruzione, 2) lo spirito critico, 3) l’impegno morale (che poi è alla base dei due già citati; senza richiamo ai valori fondamentali dell’uomo in vista della sua felicità, ovvero senza richiamo ai suoi diritti fondamentali, non resta quasi nulla di utile, nella conoscenza ). Se di queste tre cose ne manca una sola, o due, non c’è speranza: e le conseguenze sono molto gravi.
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