Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film
Ai tempi del liceo, il prete ci fece vedere il Galileo della Cavani. Scelta coraggiosa: ci provocava al dibattito. La provocazione sarebbe stata ancora maggiore se ci avessero fatto vedere questo Giordano Bruno (che volentieri mi sono guardato per la terza o quarta volta), film con il quale Montaldo prosegue un suo percorso di critica ai metodi perversi del Potere, di cui è talvolta prigioniero esso stesso. Percorso che ha come una delle sue tappe fondamentali il film di due anni precedente del regista genovese, Sacco e Vanzetti. Qui ci vengono mostrati gli ultimi otto anni di vita del filosofo di Nola, passati quasi per intero in prigionia, dall'arresto a Venezia nel maggio del 1592 all'abbruciamento sul rogo, avvenuto a Roma il 17 febbraio del 1600. Forse per questo, qualcuno ha notato un andamento claustrofobico della vicenda narrata dal film: perché, in effetti, Bruno fu costretto a passare i suoi ultimi anni tra le segrete dell'Inquisizione e i palazzi in cui furono celebrati i suoi processi (e peraltro questi ambienti sono resi con prodigiosa bravura dalla fotografia di Vittorio Storaro). Nella vicenda di Giordano Bruno - forse l'ultimo degli umanisti rinascimentali, in quanto in lui come in pochi altri si intrecciano pensiero, arte, filosfia e vita vissuta, ma anche precursore degli illuministi - pesò lo sconvolgimento dello scisma, o meglio, degli scismi protestanti, che comportarono, per la Chiesa, la necessità di reprimere l'eresia a qualunque costo e quasi l'impossibilità di esimersi dal comminare punizioni esemplari. Certo è che nemmeno il comportamento di Bruno stesso facilitò il compito di chi avrebbe voluto condannare le idee ma salvare la vita del filosofo: quest'ultimo voleva salvaguardare il nocciolo delle proprie idee, pur abiurando le opinioni più blasfeme espresse su Dio e sulla Chiesa. Inevitabile anche scorgere nel film di Montaldo echi del dibattito sessantottino (la ribellione dell'intellettuale contro il potere costituito), ma anche dell'eterno scontro tra la Chiesa e le idee laiche, che è attuale ancora oggi, sebbene la Santa Chiesa non abbia più il potere di bruciare nessuno e in Campo de' Fiori troneggi una statua del filosofo nolano con le mani incrociate a pugno, come a dire che il modo ancor l'offende. Strepitosa prestazione di Gian Maria Volonté, sicuramente più bello del filosofo, i cui modi istrionici, tuttavia, ben si addicono alle corde interpretative dell'attore.
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