Regia di Alain Corneau vedi scheda film
Il musicista Sainte Colombe, distrutto dalla morte della moglie, vive quasi completamente ritirato dal mondo: rifiuta gli inviti alla corte di Luigi XIV, si esercita in un capanno nel giardino e insegna alle due figlie la tecnica della viola da gamba; ma un giorno gli si presenta a casa il giovane Marin Marais, chiedendogli di accoglierlo. Film di un rigore ascetico, degno del suo protagonista. In superficie giocato sull’ovvio contrasto fra due mentalità (l’arte come forma di affinamento interiore vs l’arte come strumento di affermazione sociale), più in profondo è la storia di due sconfitti: il maestro, che ha scelto l’arte, deve constatare che la vita si prende le sue rivincite; l’allievo, che ha preferito la vita, una volta raggiunta la notorietà rimpiange di non essersi dato tutto all’arte; per entrambi l’unica consolazione è la presenza fantasmatica delle persone care che tornano a visitarli. Insomma, come sentenzia la forma completa della frase del titolo (che, salvo errore, non viene mai pronunciata), “Tutte le mattine del mondo sono senza ritorno”: il tempo va in un’unica direzione, lasciandosi dietro sogni e speranze. I personaggi sono realmente esistiti, anche se di Sainte Colombe si sa effettivamente pochissimo. Marais è interpretato prima da Depardieu junior, poi da quello senior: sui titoli di testa campeggia però il faccione di quest’ultimo, che innesca il meccanismo del flashback con l’unica scena ironica (lui borbotta frasi sconnesse, commentate in toni adulatori da voci fuori campo); la diafana Anne Brochet, poi, sembra nata per i film in costume.
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