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I dieci giorni che sconvolsero il mondo

Regia di Sergej Bondarchuk vedi scheda film

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La recensione su I dieci giorni che sconvolsero il mondo

di lamettrie
8 stelle

Un bel film. Di regime, di parte, ed è certo. Ma è un vero kolossal, con tanti aspetti di qualità. Tra questi:

-          Le scene di massa, decisamente ben girate

-          La fotografia, specialmente nell’utilizzo dei magnifici esterni di San Pietroburgo; ma anche di tanti interni, specie quelli lussuosi, che accrescono la portata storica di quel genere di lotta di classe

-          L’accompagnamento musicale, serio, all’altezza della portata massima cui pretende, cioè di un racconto epico

-          La serietà che si registra nel non cadere mai nel manicheismo esplicito.

Quest’ultimo è il punto che va maggiormente sottolineato. La narrazione è orientata verso la beatificazione di Lenin e dei bolscevichi. Ma a questo errore storico, in quanto viziato di unilateralità, e classico delle classi dirigenti – non solo nei totalitarismi – fa da contraltare la pulizia della scrittura, e un certo decoro storiografico, che non mettono in ridicolo nessuno. La volgarità di certe ricostruzione ideologiche, spinte dal potere in Occidente con commerciale furore, è qui ben lontana.   

Certamente, viene espunta dalla narrazione tutta quella parte di verità che invece mostra i limiti, gravi, della posizione bolscevica: l’imposizione del proprio punto di vista attraverso la violenza, innanzitutto. La quale non può essere mai giustificata dalla bontà delle intenzioni, né da una certa correttezza della lettura storica.  

Ad ogni buon conto, non stupisce che quest’opera sia stata ingiustificatamente denigrata in Occidente. Giustificatamente, però, se si pensa alle menzogne dell’America e quindi di noi italiani, agli Usa asserviti, durante la guerra fredda. Menzogne che non sono di tanto inferiori a quelle assai robuste propinate in Russia, ai tempi della guerra fredda come anche oggi.

Di certo, una seria cultura democratica, quanto meno non ignorante, non può però non guardare con una certa simpatia verso un genere inedito di affermazione popolare, la prima in cui si sia vista appunto un’applicazione della democrazia negli ultimi due millenni. Zoppa (se si pensa all’immediato scioglimento dell’Assemblea costituente quantunque eletta a suffragio universale, e a tutto quanto ne seguì), contraddittoria, criminale, per tanti verso orribile. Ma non è che in tutte le altre migliaia di casi di potere registrati prima, durante e dopo, l’umanità stesse tanto meglio.

Poi qui la propaganda (si era nell’82, ancora relativamente lontani dai disastri di Gorbacev) ebbe buon gioco nel far tagliare tutto quanto accadde dopo: che di gran lunga è stato più riprovevole.  

L’opera di Beatty dell’anno prima ha dei pregi, certo: ma sfigura rispetto a questa. Ovviamente in Occidente è stata incommensurabilmente più pompata di questa – e guarda caso più premiata. Ma questa opera di Bondarchuk, però, per dignità stilistica, le “bagna il naso”.

Il confronto tra questi due ravvicinatissimi estratti del reportage di John Reed, che - essendo il libro del ’19 - sono peraltro lontanissimi dalla loro fonte (oltre 70 anni), riesce peraltro come buon esempio di scuola della guerra fredda. Lo stesso soggetto viene fatto virare sull’essenza, del comunismo in quel caso vincente, da parte dei sovietici, rispettando così molto di più le intenzioni del medesimo Reed, peraltro.

Invece, la controparte americana è estenuante (e ben più noiosa, infatti), nel ridurre – e questo termine “ridurre” va usato, qui – il discorso più che altro alla vicenda individuale di un avventuriero, animato da ideali in parte sensati, pieno di problemi personali: un esotico, un emarginato, un irregolare, un disadattato. Uno dei tanti. Uno affascinante quanto si vuole: ma comunque «dalla parte perdente della storia», come dicono in questi casi a Repubblica, al Corriere, al Sole …     

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