Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Sotto i colpi dell’energia eolica, Werner Herzog tenta di rispondere a un paio di domande che da sempre ci assillano: chi siamo, da dove veniamo, con una variante ansiogena molto moderna: dove andremo. Ci accompagna nel viaggio verso l’ignoto, un alieno vero, l’attore Brad Dourif (finalmente ne abbiamo conferma: «Io vengo da un’altra galassia»), erede spirituale e somatico dell’attore feticcio del geniale autore tedesco, Klaus Kinski. Composto di dieci “brani”, il film comincia con un dolentissimo Requiem per un pianeta morente, prosegue con I padri fondatori alieni, con il riesame del mistero di Roswell, con missioni oltre i limiti di un’astronave che non può tornare sulla Terra (ormai inospitale) e la conseguente morte di sogni e utopie della colonia ideale («nello spazio ci starebbe bene un enorme centro commerciale, gli uomini non riuscirebbero più a vivere in un habitat selvaggio» stigmatizza uno scienziato), attraverso tunnel del tempo che fanno passare i giorni e le notti con frettolosa eternità (i malcapitati partono; e quando tornano sono passati 800 e passa anni…). La vera storia del loro ritorno ha a che fare con il trasporto caotico («il caos conserva l’energia»), con sguardi lontani che consentono di percepire la Terra solo tramite immagini registrate, nuotando nell’elio liquido che pare un oceano di silenzio. «Un giorno – profetizza un matematico - gli esseri umani andranno sulla Terra solo per trascorrere le vacanze. Il nostro pianeta sarà un grande parco iperprotetto, mentre il lavoro si svolgerà su qualche stella o su qualche asteroide». In questa sua strabiliante odissea nello spazio, che entra nell’autostrada interplanetaria oltre le orbite copernicane (grazie alla “teoria della stringhe”), Herzog accumula macerie di frame, sfrutta la voce off come Scorsese ma poi si concede al Cinema Muto, ai canti sardi, alle sonate di Haëndel, ruba pezzi di pellicola antica (aerei e treni del primo ‘900) come avrebbe fatto Ed Wood, inframmezzandoli con lezioni in stile Consorzio Nettuno: più che al cinema, pare di essere al planetario. Con sincera ironia ringrazia la Nasa per il suo “senso poetico” e ci lascia facendoci annegare tra scaglie di particelle, frammenti di ex vita per un ignoto che non possiamo (ancora) cogliere.
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