Regia di Luc Jacquet vedi scheda film
Un tempo senza tempo, senza né la presenza di orologi, né di calendari; un non luogo in cui a dettare ogni legge è il calore animale, il cui confronto con quello degli umani non può che rendere questi ultimi “di razza inferiore”, tutto ciò è lo straordinario documentario del regista e biologo francese, Luc Jacquet, La marcia dei pinguini.
E non di pinguini qualsiasi si tratta, ma del pinguino imperatore, che insieme ad altri suoi pochi esemplari, armati d’amore, coraggio e pazienza, nel cuore dell’Antartico, la regione più isolata e inospitale del pianeta, portano avanti la continuazione della propria specie.
La grande avventura del pinguino imperatore è stata scoperta soltanto nel ventesimo secolo. Alla fine dell’estate, il misterioso richiamo dell’istinto, convoca il popolo degli imperatori fuori dalle acque dell’oceano, dove questo si trasforma in immensa banchisa glaciale. Attraverso quel deserto bianco, i pinguini dovranno marciare verso l’oamok, una piana sufficientemente riparata e dove il ghiaccio è abbastanza spesso da proteggere la danza dell’amore delle tante “coppie di fatto” (almeno qui non ci sarà nessun ratzinger a dettar legge!) e la lotta per la sopravvivenza. Cento chilometri da percorrere, venti giorni di cammino senza sosta per questi goffi ma pazienti marciatori, senza la possibilità di nutrirsi: ma soltanto sull’oamok potranno nascere i piccoli, la speranza di prosecuzione nel mondo di questo popolo dei ghiacci. Una volta deposto l’uovo, se il pulcino sopravvive, i due genitori sono costretti ad alternarsi nelle cure, tornando a turno all’oceano per riprendere le forze e raccogliere provviste, il più delle volte, non riuscendo più ad incontrarsi.
Una vera odissea parentale che dura tutto il lunghissimo inverno antartico e che si conclude con l’ultima marcia, quella del giovane pinguino dall’oamok all’oceano, per il suo battesimo acquatico.
Il documentario è superiore a tanta “immondizia da sala” per tutto: innanzitutto è creato semplicemente per dare emozioni, forti, oltre che per trasmettere conoscenza di un esemplare che conosce, forse meglio di qualsiasi altra specie animale, la fatica per la sopravvivenza. A differenza dei pinguini di Madagascar, questi reali utilizzati da Luc Jacquet assomigliano tanto ai molti immigrati stagionali provenienti nelle nostre terre tanto assolate, ma gelidamente accoglienti. Il clima che si respira nel documentario è lo stesso che proviene da quel vento dettato dalla legge Bossi-Fini e dai tanti igloo (i Cpt vanto e gloria dei nostri politicanti) sparsi su tutto il nostro territorio nazionale.
Grande la maestria del regista, capace di sfidare temperature impossibili, e di confezionare un prodotto assolutamente iper-calorico per l’emozioni che il film è capace di trasmettere.
Peccato per una colonna sonora non assolutamente a servizio delle belle immagini, oltre che per qualche semplicioneria narrativa, ed eccesso nel commento audio, affidato dalla distribuzione al bravissimo Fiorello; sarebbe stato utile non rendere la sua voce assoluta protagonista dell’operazione, visto che anche nella versione originale non accade ciò (nell’edizione francese le voci narranti sono quelle di Charles Berling, Romane Bohringer e Jules Sitruk, che si dividono i rispettivi ruoli di pinguini adulti, maschi, femmine e nuovi nati).
Tuttavia sarebbe utile e molto divertente, oltre che più proficuo per il Cinema in generale, che questo bel lavoro di Jacquet porti giustamente al cinema un gran numero di spettatori, dando quanto più colpi di spazzola possibili ad altre schifezze che sono in questo momento sul grande schermo…
Giancarlo Visitilli
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