Regia di Lasse Hallström vedi scheda film
Troppo sentimentale per essere un vero western, ma fortemente legato alla sua iconografia per non esserlo. Anche la modulazione narrativa si avvicina molto a quella di un vero western, e la battuta di Redford sui film western basterebbe da sola ad avvicinare il film di Hallstrome al genere più bello del cinema. Perché non dimentichiamoci che il “western è il cinema”, perché “il cinema è movimento”. Ok, Jennifer Lopez è bella, ma punto. Ok, che il film è una copia sbiadita di un film che sul tema della riappacificazione con se stessi e il mondo ha detto tutto e lo ha fatto straordinariamente, “Million Dollar Baby”. Ok che Redford non è Eastwood. Ok che Freeman si ripete davvero come “ferrovecchio” saggio e catartico. Ok quindi che “Il Vento del Perdono” non ha niente di più da dire, ma il suo fascino sta nella perpetuazione di un tema che non vorremmo mai che il cinema smettesse di parlare. Grandi uomini e tra loro amici, che continuano a leccarsi le ferite e a medicarsi i sentimenti mutuamente, isolati nella dura scorza di se stessi, che nel film di Hallstrome viene rappresentata con la mitica iconografia del West. Sicuramente il titolaccio italiano “Il Vento del Perdono” vira quasi irrimediabilmente verso un’interpretazione retorica e patetica del film, e ci sono effettivamente dei momenti tali che stonano con altre idee carine e ben fatte. Ma nonostante tutto, ecco che questa storia di grandi pascoli, tratta da un’opera letteraria, merita molte più considerazioni di chi la sottovaluta. Robert Redford poi, è perfettamente in parte. Manca di una certa aderenza al ruolo, perché non è dei suoi canonici, e sarebbe andato meglio proprio un Eastwood, ma Redford è un grande attore e il suo carisma rimane immune nel tempo, anzi, tra cavalli e speroni trova una cassa di risonanza maggiore.
Tematicamente c’è forse un po’ troppo. Il perdono, il dolore per la morte di un figlio, l’isolamento del duro cow-boy, l’amicizia virile, il conflitto-sfida-amore con la natura. Magari i vari temi si pestano i piedi tra loro, per non contare i temi minori come la violenza domestica o l’iniziazione di un rapporto nipote-nonno, ma almeno non si perdono per strada, e il regista riesce sempre a riportare tutto al tema madre: il perdono, in tutte le sue forme. “I morti ci perdonano”, dice alla fine Freeman mentre è seduto all’aperto con l’amico Redford. E la pace dei sensi che ispira la ripresa aerea finale, suggella l’ideologia del film, troppo sentimentale per essere un western, ma fortemente legato alla sua iconografia per non esserlo.
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