Regia di John Schlesinger vedi scheda film
Spy story sui generis, oscillante tra il thriller classico ed il romanzo di formazione, ebbe senonaltro il merito - in pieno reaganomics - di affrontare il tema della Guerra Fredda in chiave autocritica e politicamente scorretta (il protagonista vende le informazioni riservate della C.I.A. non già per denaro, quanto per individuale ribellione nei confronti d'un regime a suo parere ingiusto, violento e corrotto). Le premesse sono ottime e la tematica permetterebbe riflessioni (e forse qualche conclusione) di notevole spessore, ma pare che Schlesinger si contenti quasi subito di virare con buon mestiere verso gli stereotipi del genere, non caratterizzando a sufficienza il personaggio di Hutton e rinunziando quasi del tutto ad affondare il colpo nei confronti dell'american way of life. Ne deriva un ibrido, che parte come film politico e si trasforma man mano in un action di medio livello. Il vero punto di forza dell'opera è l'interpretazione livida e caricata d'un Penn giovanissimo, acerbo e dolorosamente autodistruttivo. E' lui, più che lo sciapo Hutton, ad incarnare il travaglio interiore, lo smarrimento, l'avidità crescente e la decadenza morale dell'America del dopo-Nixon. E' lui il vero loser, la vera vittima d'un sistema opulento e cannibale, edonistico e repressivo, il ritratto più fedele d'un popolo che da sempre vive di contraddizioni feroci e quasi mai adeguatamente riflettute. Un personaggio memorabile, inserito suo malgrado tra gli ingranaggi poco oliati d'un film scordabilissimo.
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