Regia di Liev Schreiber vedi scheda film
Tradurre un successo letterario in un film È operazione ardua e da affrontare con le cautele del caso, ancor più quando ci si trova dinanzi a testi “fortunati” ma dallo stile molto personale e dalla scrittura talvolta ardita. Il romanzo del giovane scrittore americano Jonathan Safran Foer da questo punto di vista è emblematico e il suo racconto è di quelli che si amano o si respingono, senza compromessi, e molti aspiranti lettori sono stati allontanati dopo poche pagine. Il primo pregio di Liev Schreiber, attore di buona fama alla sua prima esperienza di regia, è proprio quello di tradurre senza tradire il senso profondo e le migliori immagini del libro, in un ordito scorrevole che pare un diario di viaggio alla Chatwin, attraente, affascinante e che mescola con sapienza sorriso e commozione. Il diario racconta la ricerca delle radici europee di un giovane ebreo americano. Catalogatore ossessivo e vegetariano, Jonathan riceve dalla nonna in punto di morte una foto del nonno, scomparso anni prima, ritratto prima della guerra in Ucraina con una donna misteriosa nel villaggio di Trachimbrod. Il ragazzo si affida per la sua ricerca a un’improbabile agenzia turistica e a bordo di una scassata Trabant con il giovane rockettaro dinoccolato Alex, il nonno di lui e il cane Sammy Davis jr jr, troverà le risposte alle sue domande in uno sperduto fazzoletto di terra ucraina e molte ne porrà allo spettatore. Il film infatti è un delizioso viaggio nelle problematiche del mondo di oggi, come ad esempio il confronto tra culture diverse, quasi inconciliabili. Poi c’è il contrasto tra la velocità del quotidiano e la piacevole lentezza di un film che lavora negli affascinanti anfratti proposti dalla dicotomia ricordo/oblio, compreso tra la naturale tendenza dell’essere umano a dimenticare e la necessità di ricordare la propria storia. “Ogni cosa è illuminata dalla luce del passato” e Trachimbrod, il luogo fantastico o cancellato dalla storia degli uomini, diventa finalmente reale, a incarnare l’essenza di quella grande tragedia del mondo che fu l’Olocausto. Se risulta quasi pacifica la bravura “dell’attore” Schreiber nell’aver assemblato un cast perfetto che mescola star, attori semisconosciuti e esordienti, non così è per le qualità della regia, semplice e lineare ma ogni tanto capace di regalare immagini di grande forza, come quel “muro del ricordo” che l’ossessivo Jonathan costruisce con i suoi reperti.
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