Regia di Paul Haggis vedi scheda film
Los Angeles e le sue biglie metalliche, schizzate da pulsioni distruttive verso le luci colorate a segnare punti per il proprio score, la propria esistenza unica, disperatemente sola nel tabellone di gioco della grande città degli angeli. Non colpirsi diventa impossibile e ad ogni collisione ne succedono altre, figlie delle collisioni precedenti, senza soluzione di continuità. Il razzismo diventa la calamita naturale attorno alla quale si radunano grappoli di umani-biglie metalliche impazzite, il razzismo come assioma indivisibile imposto dalla convivenza coatta di paure diverse, molto spesso giustificate, molto spesso combattute, a volte vinte. Un razzismo che si eleva a condizione di vita, parte integrante di un modo di pensare comune e comunemente accettato scavalcando a piè pari lo stereotipo del colore della pelle, il razzismo dell'america schiavista della guerra di secessione qui non c'entra e neppure ne è figlio. Il razzismo espresso è sulla condizione sociale, tra appartenenti alla medesima condizione mirata verso tutti indistintamente, ognuno con il proprio orgoglio e la propria dose di potere da esercitare. Vorrebbero evitarsi i protagonisti, vorrebbero ignorarsi per non sentire l'odore dell'altro, gli umori altrui, invece è inevitabile lo scontro, l'entrare in contatto nonostante chiusi in SUV Monstre, nonostante chiavistelli nuovi alle porte, ville inespugnabili, pistole da difesa e piccoli poteri di piccoli esseri umani tanto soli quanto bisognosi di contatto fisico. Il contatto fisico è la chiave di volta del film corale di Haggis, un intreccio di storie in cui ogni personaggio ha un peccato da scontare, un dolore da sublimare, e un motivo di redenzione che lo aspetta, ci dimostra che il caso non esiste ma è semplicemente il realizzarsi di scelte operate in sincrono e che cambiano ad ogni battito di cuore il risultato di una teoria del caos che per semplice incapacità a tradurla in segni convenzionali chiameremo destino. Ogni storia si apre e si chiude con un contatto fisico, distruttivo la prima volta, riparatore la seconda: una rapina, un abbraccio, una molestia sessuale e un salvataggio in extremis in una macchina in fiamme. Una coito interrazziale e una madre pazza al capezzale del figlio morto, una bambina che protegge suo padre con un abbraccio e così via verso la quadratura di un cerchio che non esiste se non nei limiti della percezione della propria porzione di vita. Il film riprende idealmente la struttura dei film di Altman, il richiamo a America Oggi è limpido, la nevicata finale che ricoprerà tutto richiama il terremoto altmaniano e la pioggia di rane di Anderson in Magnolia seppur con minor enfasi e potenza. Ogni decennio ha il proprio manifesto dell'incomunicabilità, un aggiornamento del dolore di esistere, una fotografia del frantumarsi del sogno americano e P. Haggis già sceneggiatore di Million dollar baby dimostra di conoscere bene la società in cui vive riprendendola senza giudicare perchè facendone parte non sarebbe obiettivo, non è un esterno ai fatti (il set infatti si confonde con la vita reale: la villa del procuratore Brendan Fraser e sua moglie Sandra Bullock, per esigenze di tempo e budget è quella dello stesso regista) e si limita a filmare le scie di quelle biglie metalliche impazzite che si scontrano rimbalzando in altre collisioni e a volte vengono ingoiate dal tabellone di gioco, sparendo. I personaggi, scritti con molta attenzione ai caratteri e altrettanto bene interpretati non sono quindi ne' buoni ne' cattivi, sono uomini che sbagliano e si redimono, su tutti un ottimo Matt Dillon poliziotto disilluso e cinico, schiacciato dal dolore ma eroe nel momento in cui tutta la sua umanità deve per forza di cosa prevalere sulla propria incolumità. Buone anche le prove di Brendan Fraser e Sandra Bullock che dimostratno di poter passare incolumi dai film commedia a una prova di spessore drammatico, quando le parti sono ben scritte.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta