Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
Insieme a un paio di amici-colleghi, Thomas sfolla stabili occupati abusivamente e conclude losche trattative immobiliari. Un giorno, tuttavia, per caso incontra un vecchio amico della madre musicista, che gli propone un'audizione, ricordandosi che anche Thomas come la mamma deceduta suona il pianoforte.
Tutto il film di Audiard si basa sulla rappresentazione del personaggio di Thomas, ragazzo che a 28 anni sembra ancora in cerca di una propria identità. Da una parte, infatti, egli ha ereditato il carattere del padre, duro e deciso, e sa essere spietato quanto basta quando c'è da andare a sfollare immobili occupati da poveri cristi o a riscuote denaro da chi non vuole pagare. Dalla madre, invece, ha ereditato la passione per la musica, per il pianoforte; e parrebbe quella fragilità tipica degli artisti. Queste anime, dunque - quella asprigna e concreta del padre, quella sensibile della madre - si fondono in lui e paiono strattonarlo in direzioni diverse, nell'impossibilità di congiungere la professione che gli dà il pane, quella ereditata dal babbo, con l'amore inopinabile per la musica e, di conseguenza, per l'immagine di una esistenza diversa. Se Audiard fosse stato un regista mediocre avrebbe potuto risolvere questa impasse in maniera netta, senza ombre, senza sfumature: trasformare Thomas in un vero musicista o, al contrario, rigettarlo nei ghetti del lavoro immobiliare. Invece il dramma rappresentato è più intenso, perché l'amore per la musica c'è, ma c'è davvero il talento, ci sono davvero le capacità per diventare quello che si vorrebbe essere? Il finale del film, volutamente beffardo, è una risposta indiretta a questa domanda; e lascia Thomas imprigionato nel suo labirinto, come figura di semplice comprimario, di spettatore inerme di quel sogno artistico che sembra suo e, al contempo ed irrimediabilmente, cosa di altri.
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