Regia di Vladimir Motyl vedi scheda film
Sorta di western sovietico. Sovietico ma non troppo.
Tutto ambientato nel deserto del Turkmenistan, è una pellicola che mescola abilmente più generi: dramma, commedia, politico, e appunto western. L'ironia è una cifra quasi costante, sia quando si ridacchia un po', che quando i dialoghi presentano allusioni e stoccatine a destra e a manca.
La visione retorica sovietica c'è (bianchi cattivi, popolazioni locali arretrate da liberare, ecc.), ma pure le ambiguità non mancano, tanto da farci dubitare della sincerità delle intenzioni. Una battuta del protagonista potrebbe essere rivelatrice. Esposto il regolamento ai prigionieri dell'Armata Rossa, dice "Se avete dubbi, ditemelo. Io li ho, ma non li dico". Anche la moglie del baffone, prima presentata come bigotta rompiscatole, appare poi come più saggia del marito, e innamorata sinceramente di lui. Ma sono tutti i dialoghi ad essere pieni di sfumature e ambiguità, pur nell'ambito di una forse forzosa ortodossia ideologica.
Il regista conduce il racconto in modo fluido, e dà al film nel suo insieme un tono molto originale e difficilmente classificabile. Lo aiutano in questo le belle canzoni di Isaak Schwarz.
Solo la mattanza finale mi ha lasciato un po' perplesso; è difficile farla rientrare nell'eclettismo del film, ed appare come una certa stonatura rispetto all'ironia di tutto il resto.
In Unione Sovietica fu uno strepitoso successo, e la sua fama stenta a morire ancora oggi. La versione italiana gode dei migliori doppiatori dell'epoca.
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