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La rosa bianca. Sophie Scholl

Regia di Marc Rothemund vedi scheda film

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La recensione su La rosa bianca. Sophie Scholl

di giansnow89
9 stelle

Tutta la bellezza di Sophie Scholl nell'incantevole interpretazione di Julia Jentsch.

Davanti alla vertiginosa altezza della vicenda di Sophie Scholl, qualunque annotazione di carattere cinematografico diventa ridondante e inopportuna. La Storia, nella sua semplicità e nella sua normalità, si dipana di fronte ai nostri occhi: il grande, forse unico, merito del film di Marc Rothemund è farsi tramite perché l'esempio della breve esperienza della Rosa Bianca raggiunga la più vasta ed eterogenea platea possibile. 

Il film si concentra sugli ultimi cinque giorni di vita di Sophie, del fratello Hans e dell'amico Probst, quelli che vanno dall'arresto all'esecuzione, passando per l'interrogatorio ed il processo farsa presso il Tribunale del Popolo. La costante del film, coerente con le testimonianze di coloro che in quei giorni hanno avuto a che fare con Sophie, direttamente o indirettamente, è l'ostinata serenità d'animo della ragazza, ai limiti della pervicacia, persino in prossimità dell'estrema ora. Scrive Inge Scholl, sorella maggiore di Sophie, circa la visita che i genitori fecero alla figlia poco prima che venisse giustiziata: «Quindi una secondina introdusse Sophie. Indossava i propri vestiti e procedeva con lentezza, pacata e molto eretta. Sorrideva continuamente come se fissasse il sole». Saldezza di spirito e serenità d'animo. «Bisogna avere uno spirito forte ed un cuore tenero» era una delle massime preferite da Sophie. Così durante il film la vediamo continuamente ricercare il cielo e la luce del sole dalle oscurità profonde della sua cella, lo sguardo privo di rabbia e di risentimento per la libertà negata. «Una giornata di sole così bella, ed io me ne devo andare. Ma quanti non sono oggi quelli che muoiono sul campo di battaglia... non mi importa morire se le nostre azioni saranno servite a scuotere e risvegliare gli uomini» (dalla testimonianza di Else Gebel, compagna di cella di Sophie). La conforta la certezza di aver agito per il meglio, di aver compiuto semplicemente il proprio dovere di essere umano, prima che di cittadina tedesca, o di figlia di Dio.

Ma anche saldezza di spirito, si diceva. Negli interrogatori e durante il processo, è Sophie stessa che mette alla sbarra i propri accusatori, così da rivelare il Reich per quello che è: un ammasso di grigi burocrati e spregevoli lacchè del potente. Un gigante con i piedi d'argilla, che per mascherare la propria debolezza è costretto a fare del male, altrimenti sarebbe perduto: è sufficiente un volantino perché le fondamenta minaccino di decadere. Di fronte al tumulto di vili calunnie al suo indirizzo, Sophie oppone la propria serenità, la trasparenza e la normalità della propria non-scelta, perché non ci può essere nulla di speciale nel «non volere avere niente a che fare con il nazionalsocialismo» (dai verbali dell'interrogatorio reso alla Gestapo tra il 18 e il 19 febbraio 1943). Sophie ci appare come Giovanna d'Arco (quella bressoniana piuttosto che quella tragica dreyeriana) per la tranquillità con cui ribatte colpo su colpo alla grottesca ridda di insulti da cui viene investita. Una Giovanna d'Arco non martire, perchè non è così che il film ce la vuole ritrarre né è cosi che Sophie avrebbe voluto essere passare alla memoria; quanto una giovane donna, libera, intelligente, pura, buona, assassinata da un sistema oscenamente geloso della purezza d'animo, un sistema liberticida, un regime di idioti che governavano su idioti (Hitler scrisse: "È incredibile fino a che punto si debba ingannare un popolo per poterlo governare", questa era l'opinione che il Führer aveva del Popolo Eletto). 

Non una lacrima versa Sophie prima di essere condotta al suo barbaro assassinio. Le uniche lacrime sono le nostre.

 

Bibliografia consultata: Sophie Scholl e la Rosa Bianca, Paolo Ghezzi, Morcelliana

 

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