Regia di Marc Rothemund vedi scheda film
«Grazie Fuhrer! Siamo cresciuti in una nazione nella quale l’espressione di una qualsiasi libera opinione viene repressa. Gioventù hitleriana, SA e SS hanno cercato di uniformarci, omologarci e narcotizzarci negli anni più fecondi della nostra crescita. Il nome della Germania rimarrà macchiato per sempre se la gioventù non sarà capace di insorgere, ribellarsi e vendicarsi, eliminando i suoi torturatori e dando vita ad un nuovo spirito europeo».
Con queste semplici ma chiare parole un gruppo di giovani universitari di Monaco, gli studenti della Rosa Bianca, centravano e individuavano quale fosse il più grande nodo del regime più violento che la Storia dell’Umanità avesse potuto concepire sino a quel momento.
Cosa infatti impedì che milioni di bravi cittadini tedeschi potessero insorgere contro il tiranno che concluse il ciclo dell’Età della catastrofe del Secolo breve, portando con sé nel baratro un’intera nazione e lasciando l’Europa sotto le macerie dell’assurda guerra civile alla quale l’aveva costretta?
«Mi turba il fatto che nel Reich persone pulite, degne di fede, oneste e non vili, approvino e affianchino una sorta di patriottismo urlante e bellicoso», scriveva Hermann Hesse nel suo diario nel mese di luglio del 1933. Adolf Hitler era già diventato Cancelliere della Germania il 30 gennaio: era il figlio di una nazione e del suo tempo; era “l’interprete di una cultura tedesca di quegli anni che si nutriva d’irrazionalismo, che odiava le dottrine illuministiche e ogni forma di democrazia […] in Hitler si riassumevano maniacali odi razziali e vaneggiamenti di sconfinate espansioni […] Soltanto un uomo come lui, fornito di un’indicibile capacità di illudersi e d’una magnetica forza di illudere, poteva fare d’una nazione un popolo in armi e condurlo all’autodistruzione dandogli la sensazione di aprirgli le porte d’una gloria imperitura”[1].
Si trattò dunque soltanto di un mostro? Di un folle? O vi fu di più? Certamente, i tedeschi si aspettavano un capo che fosse più di un capo. Si aspettavano un uomo della Provvidenza, qualcuno che li portasse fuori dalla palude della depressione, che allontanasse lo spettro del comunismo, che pensasse per loro, che li facesse sognare con la sua arte oratoria. E per fare ciò Hitler usò tutti i mezzi, compresa la propaganda in grande stile, la manipolazione delle menti, le leggi eccezionali, la concentrazione delle cariche, la menomazione del parlamento. Ma soprattutto Hitler creò un regime nel quale poteva fare e disfare a suo piacere ogni giorno, perché ogni azione era giustificata dall’incombente necessità.
In pratica, egli era il capo che il popolo aspettava. Ne conseguiva che ciò che egli diceva era giusto e necessario. Stante la necessità, ogni conseguenza si doveva accettare, compresa la limitazione delle garanzie e dei diritti. Dunque, era realmente possibile opporsi al regime, ai suoi capi e al suo Fuhrer?
Sophie Scholl entrò nella Hitler-Jugend nel mese di febbraio del 1934. L’importanza dell’educazione era alla base dei programmi educativi della gioventù hitleriana. L’obiettivo era quello di formare non più cittadini pensanti, ma sudditi votati all’obbedienza cieca. Il Fuhrer sapeva che: “la psiche della massa è insensibile a tutto quanto è debole e non assoluto. Come la femmina, i cui sentimenti sono determinati non tanto da motivazioni astrattamente razionali, quanto da una certa indefinibile e sentimentale nostalgia di una forza integratrice e che perciò preferisce piegarsi di fronte al forte, che dominare il debole, così anche la massa ama chi più la domina”[2].
“All’età di soli dieci anni i ragazzi dovevano prestare questo aberrante giuramento al Fuhrer: In presenza di questo vessillo di sangue, che rappresenta il nostro Fuhrer, giuro di dedicare tutte le mie energie e la mia forza al Salvatore del nostro paese, Adolf Hitler. Sono disposto e pronto a dare la mia vita per lui, con l’aiuto di Dio”[3].
Gli ultimi giorni e la morte di Sophie Scholl sono narrati nel film di Marc Rothemund, La Rosa Bianca – Sophie Scholl, con Julia Jentsch nel ruolo della giovane eroina tedesca.
Prima di costituirsi nell’associazione clandestina chiamata Rosa Bianca, Sophie Scholl (1921 – 1943), suo fratello Hans Scholl (1918 – 1943), Christoph Probst (1919 – 1943) e uno sparuto gruppo di giovani amici, in seguito orrendamente giustiziati dal regime nazista e dai suoi fanatici capi come se fossero stati pericolosi terroristi, erano soltanto dei giovani idealisti – come giustamente devono essere i giovani – credenti cristiani, innamorati del proprio paese.
Pur avendo fatto parte nell’età preadolescenziale del gruppo di bambini e ragazzi della Hitler-Jugend, utilizzato dal regime nazista come serbatoio e laboratorio di formazione dei nuovi fanatici, dopo qualche anno di appartenenza, essi si resero conto che le idee professate nei gruppi di aggregazione non fossero altro che parole e slogan vuoti, da riempire con il credo in un uomo e le sue farneticanti regole e dottrine.
La molla che li fece cominciare ad allontanare da quegli ideali altro non fu che un banale provvedimento disciplinare, preso contro alcuni di loro che intendevano partecipare a una riunione dei gruppi con un vessillo raffigurante un drago. Tale cosa non poteva essere gradita da un regime vuoto che tende ad omologare tutto uno Stato, cominciando dai simboli.
Presa coscienza dell’assurdità di quel credo politico che in Germania si radicava sempre più, Sophie e i suoi compagni cominciarono a fare ciò che era più naturale in coloro che – in democrazia – non condividono le idee della maggioranza: discutere in modo non violento.
Il gruppo della Rosa Bianca riesce a distribuire sei volantini, l’ultimo dei quali all’interno dell’università, il 18 febbraio 1943. Sophie e suo fratello Hans sono immediatamente identificati grazie alla solerzia di un inserviente aderente al partito nazista. Assieme agli altri membri e amici vengono sottoposti alle indagini e all’interrogatorio della Gestapo.
Sophie rifiuta l’invito, neppure tanto velato, di fare ricadere le colpe di tutto sul fratello Hans e, dopo soli quattro giorni, assieme ad Hans e a Christoph Probst, viene processata in modo sommario e sfacciatamente teatrale dal tribunale presieduto dall’intollerante, prevenuto e fanatico ammiratore del regime, giudice Roland Freisler e, infine, condannata a morte.
Sophie era alla ricerca della libertà e dai suoi scritti emerge la necessità di recuperare i valori spirituali, attraverso un cammino individuale nel quale la scelta personale è alla base sia di uno stile di vita onorevole, che della salvezza dell’anima.
“Per un popolo civile non vi è nulla di più vergognoso che lasciarsi ‘governare’, senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti […]. Se i tedeschi sono già così privi di ogni individualità, se sono diventati una massa vile e ottusa, allora sì che meritano la rovina. Goethe definisce i tedeschi un popolo tragico come gli ebrei e i greci, ma oggi questo popolo sembra che sia piuttosto un gregge di adepti, superficiali, privi di volontà, succhiati fino al midollo, privi della loro essenza umana e disposti a lasciarsi spingere nel baratro.
Così sembra, ma non lo è. Ogni individuo è stato chiuso in una prigione spirituale mediante una violenza lenta, ingannatrice e sistematica; e soltanto quando si è trovato ridotto in catene si è accorto della propria sventura”. (Primo volantino).
“Ogni uomo preso singolarmente ha il diritto di pretendere un governo efficiente e giusto che assicuri sia la libertà individuale, sia il bene della collettività […]. Invece il cosiddetto Stato in cui viviamo oggi è la dittatura del Maligno”. (Terzo volantino).
“Ma intanto cosa fa il popolo tedesco? Non vede e non sente. Ciecamente segue i suoi seduttori nella rovina. ‘Vittoria ad ogni costo!’ essi hanno scritto sulle loro bandiere. ‘Combatteremo fino all’ultimo uomo’, dice Hitler, e intanto la guerra è già perduta.
Tedeschi ! Volete, voi e vostri figli, subire lo stesso destino toccato agli ebrei? Volete voi essere giudicati con lo stesso metro con cui saranno giudicati i vostri seduttori? Volete voi essere per l’eternità il popolo odiato e respinto da tutti? No!” (Quinto volantino).
Sophie aveva ventuno anni e un cuore tenero, ma aveva già scelto di resistere corazzando il suo spirito. Il 22 febbraio 1943, dopo il brevissimo e mortificante processo al quale venne sottoposta assieme al fratello Hans e all’amico Christoph, venne condannata a morte e ghigliottinata lo stesso giorno.
[1] Antonio Spinosa, Hitler il figlio della Germania, Arnoldo Mondadori Editore.
[2] Adolf Hitler, Mein Kampf.
[3] http://www.rosabianca.org/
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