Regia di Marc Rothemund vedi scheda film
Un film di forte impatto emozionale che è il resoconto fedelissimo degli ultimi giorni di vita di una ragazza e dei suoi compagni di ideali che avevano dato vita a un movimento sotterraneo di opposizione al regime divulgando clandestinamente implacabili atti di denuncia dei misfatti e delle devianti aberrazioni del nazionalsocialismo hitleriano.
"La Rosa Bianca" è una pellicola di alto valore morale che fornisce una documentata rappresentazione, appassionata e coinvolgente, di uno dei più tragici e sconvolgenti crimini perepetrati durante la dittatura Hitleriana. Film di forte impatto emozionale, è lucido e implacabile nel riproporre con coerente adesione personale, il resoconto fedelissimo degli ultimi giorni di vita di una ragazza (Sophie Scholl) e dei suoi compagni di ideali, il gruppo di studenti universitari che insieme al loro professore di filosofia, aveva dato vita a un movimento sotterraneo di opposizione pragmatica e senza armi al regime, denominato appunto "La Rosa Bianca", particolarmente attivo nella divulgazione clandestina e anonima di ciclostilati che costituivano altrettanti, implacabili atti di denuncia dei misfatti e delle aberrazioni delle devianze nazionalsocialiste. Probabilmente tradito dal custode dell'università che aveva in qualche modo potuto identificare "visivamente" gli attivi divulgatori dei volantini, il nucleo fondante dei 5 studenti più il professore, fu arrestato, imprigionato e, dopo un brevissimo processo farsa, condannato a morte per alto tradimento, condanna poi puntualmente e barbaramente eseguita mediante decapitazione, ad iniziare proprio da Sophie, la cui testa fu la prima a cadere sotto la mannaia del boia il 22 febbraio del 1943. Il regista Rothemund ha l'altissimo meritodi aver riproposto alla attenzione universale un fatto poco conosciuto ma fondamentale di una "resistenza" ideologica radicata e inattaccabile, fieramente rivendicata fino alla fine senza cedimenti o tentennamenti, attraverso un linguaggio asciutto e sintetico, privo di ghirigori formali (la sua ascendezza televisiva è chiarmente avvertibile proprio nella forma) ma fortemente evocativo ed incalzante, e lo fa con un taglio così preciso e netto nelle cadenze e nei ritmi, da riuscire a rendere ancora più appassionante e coinvolgente il percoro di identificazione dello spettatore con la protagonista - e con la storia - per altro magnificamente resa dalla bellissima prova di Julia Jentsch. La razionale esemplificazione del messaggio (film più di contenuti che di stilizzazione visiva)è amplificata dall'ambientazione realisticamente claustrofobica di tutte le scene all'interno del carcere, e dal confronto magistralmente esemplificato (che rappresenta uno dei fulcri fondamentali del racconto) che contrappone, durante gli interrogatori, la lucida coerenza appassionata e senza cedimenti della donna, alla spietata, fredda ottusità reazionaria dell'ufficiale nazista accusatore, tanto crudelmente asservito alla logica devastante del persecutore inflessibilmente implacabile, quanto inutilmente e perversamente "paternalistico" nel tentativo di infrangere quella coscenza adamantina e incoercibile aprendone brecce e pertugi. E i criteri filologici della rappresentazione sono professionalmente ineccepibili, avvolgono dall'interno fondendo insieme l'emotività del pathos e la razionalità delle parole. Il film "storicamente" inappuntabile, coraggioso e intelligente, meriterebbe davvero una divulgazione ben più capillare di quella che gli è stata riservata: da far vedere necessariamente e obbligatoriamente in tutte le scuole e (perchè no?) da programmare sistematicamente in prima serata nei palinsesti televisivi per una volta auspicabilmente sensibili alla crescita e alla conoscenza, di questa disastrata e distratta televisione di stato.
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