Regia di Sydney Pollack vedi scheda film
Negli anni 70' Sydney Pollack aveva sfornato film molto belli come Non si Uccidono così anche i Cavalli (1969), Corvo Rosso non avrai il mio scalpo (1970) e I Tre Giorni del Condor (1975), ma dagli anni 80' in poi ha cominciato a beccare sempre meno film, girando roba mediocre come La mia Africa (1985) e Sabrina (1995), che erano pellicole di un regista scarico e senza più idee. Dopo una pausa dalla regia di ben 9 anni, il regista ritorna dietro la macchina da presa con The Interpreter avvalendosi di due star all'apice della loro fama come Nicole Kidman e Sean Penn.
Per fortuna della spettatore Pollack si deve essere ricordato che un tempo fu un regista di buon livello, con una certa predilizione nel mettere in scena la disillusione derivante dal sogno e una rilettura critica delle verità che ci sono date, certo non siamo al livello dei Tre Giorni del Condor, ma questo thriller fantapolitico che pesca a piene mani dal clima post 11 Settembre (vedere la scena dell'autobus), è un buon lavoro, che di certo non si merita la media voto bassa su filmtv (attualmente un 6.6), nè la totale inosservanza da parte di pubblico e critica.
Basta già l'incipit che msotra un'Africa a pezzi, tra genocidi, guerre civili, brutalità, bambini soldato e luoghi in rovina per farci capire come Pollack sia ritornato ad essere un regisa decente, presentandoci un continente nero ben lontano dalla cartolina tirata a lucido mostrata nel film La Mia Africa.
Ulteriore realismo nella messa in scena, è l'essere riuscito ad ottenere l'autorizzazione dal segretario generale dell'ONU per girare molte scene all'interno del palazzo di vetro, un luogo-non luogo dove le parole sovrabbondano nella totale incapacità di arrivare a tirare le fila di un discorso che possa giungere ad una conclusione fattiva. Silvia Broome (Nicole Kidman), è un'interprete delle nazioni unite, che fà della parola la sua arma; la donna possiede un bagaglio semantico molto vasto, riuscendo a fa pieno uso del potenziale che sgorga dai singoli vocaboli, per cercare di mettere in comunicazione culture e popoli differenti, per aiutarli a raggiungere una reciproca comprensione; mentre Tobin Keller (Sean Penn) è un'affranto agente del servizi segreti, incaricato di proteggere la donna che è in pericolo di vita per aver sentito fortuitamente un discorso su un complotto per uccidere Zuwanie (Earl Cameron), dittatore del Matobo.
Con pochi movimenti di macchina e un'asciuttezza estetica, Pollack mette in scena un thriller che fortunatamente si aliena da tutte le pellicole Hollywoodiane del genere sorte sulla falsa riga dell'11 Settembre; al regista basta far parlare le immagini ed usare le parole come un'arma o poesia (dipende dai casi) e non come inutile orpello per fare didascalismo.
La pellicola gode del giusto ritmo, grazie ad un uso sapiente del montaggio che trova la sua massima potenza nella lunga sequenza dell'autobus dell'incontro tra Silvia e Kuman-Kuman (un oppositore della dittatura di Zuwanie), che culminerà poi in una tragedia che rappresenta appieno le ansie e le paure degli Stati Uniti, che si sono scoperti vulnerabili dopo l'attentato alle Torri Gemelle.
The Interpreter mette in scena la disillusione e la delusione esistenziale dei nostri due protagonisti che troveranno una reciproca comprensione l'uno con l'altro con un rapporto assolutamente anti-convenzionale per i film americani che Hollywood ci propina. Nicole Kidman prima che il botulino le deturpasse il viso, ha una bellezza e una capacità interpretativa degna di lode; nonostante sia forse "troppo bella" per il background del suo personaggio, ma riesce sbozzare un personaggio credibile, disilluso e che con coerenza costruisce in base alle rivelazioni sul suo passato, calandosi perfettamente negli abiti lavorativi di un'interprete senza mai strabordare eccessivamente dal suo personaggio. Per quanto riguarda Sean Penn che devo dire, è uno dei miei miti attoriali di sempre in tutta probabilità, un'attore dalle qualità eccezionali che quando è gestito dai suoi tratti più esuberanti, dà pieno sfogo alle sue qualità d'interprete, lavorando perfettamente un personaggio che vive di sguardi ed osservazioni e poco avvezzo all'uso della dialettica, riuscendo invece a comunciare i suoi sentimenti allo spettatore tramite solo l'uso dei suoi occhi, prendendo cosi' le redini attoriali della pellicola.
Pollack seziona con la sua regia la psicologia dei personaggi, lasciando parlare molto le immagini, che riescono ad essere superiori alle magagne di una sceneggiatura di certo non perfetta e un pò troppo fiduciosa nei meccanismi dell'ONU. Il regista ci regala spunti di riflessione niente male come la disillusione nei propri ideali tramine il personaggio di Silvia, che ha dovuto lasciare il suo paese, perchè seppur credeva inizialmente con tutta sè stessa in Zuwanie, per poi rendersi conto del mostro che era, e così appoggiare i due controrivoluzionari, i quali però molto probabilmente una volta al potere di certo non sembrerebbero promettere di meglio.
L'anziano Earl Cameron (che ha 100 anni ed è ancora in vita), costruisce una figura di un'anziano dittatore oramai totalmente scollegato dalla realtà e saldamente legato alle leve del potere; dando spazio ad una figura che dietro l'apparenza di un'aziano e bonario vecchietto, nasconde un rabbioso genocida pronto a tutto pur di continuare a governare. Non c'è conversione o pentimento nel finale da parte di Zuwanie come qualche critico ha accusato, ma c'è la presa di coscienza di essere stato un fallimento umano per aver deluso una donna (e di conseguenza un popolo) che credeva nella sua causa. Zuwanie nasce povero e con l'uso della sua pistola che diventerà il simbolo della lotta armata contro l'ex-governo autoritario, difende il popolo oppresso grazie alla sua arma contro un potere corrotto, salvo poi rinnegare tutto il suo percorso una volta giunto al potere, rivolgendo la "pistola del popolo" contro il paese, diventando così il peggiore di tutti stermiando i suoi oppositori. Tutto il riassunto di una vita Pollack lo riassume in un'unica immagine stampata su un libro, con un esempio di grande cinema.
Con The interpreter non siamo di certo innanzi ad un film perfetto, ma al suo ultimo film, Pollack confeziona la sua miglior opera da oltre 20 anni, chiudendo in modo più che degno la sua carriera di regista, con un thtiller politico che dovrebbe solo fare da scuola per i molti shooter da strapazzo che infestano il cinema odierno.
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