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Il giocattolo

Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film

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La recensione su Il giocattolo

di lamettrie
4 stelle

Non un bel film. Sfruttava tantissimo, nel ’79, il clima di angoscia dovuta al terrorismo. In più sfrutta l’immaginario della ragazza lasciva che si concede a uomini maturi, che in particolare dopo il ’68 infiammava istinti morbosi. Due temi che anche oggi avrebbero un appeal, se non fossero sviluppati in modo abbastanza commerciale, assecondando i clichè di allora. Specialmente il primo: il terrore della violenza, che ricalca all’italiana i miti (fasulli, oltre che tristi) del “giustiziere fai da te”, di facile derivazione statunitense. Getta benzina sul fuoco del tema della legittima difesa, che comunque divide tuttora.

Il film è troppo lungo: il primo tempo è lento, sovente indugia nell’insignificante. Si riscuote comunque nel secondo tempo, anche se il finale è sciupato: con quel po’ po’ di tensione accumulata, il giustiziere solitario poteva concludere in bellezza. Ma non lo ha fatto.

La recitazione appare abbastanza televisiva (con un termine da “senno di poi”): sembrano molto impostati in tanti, a partire da un attore celebrato come Arnoldo Foa. Personalmente Manfredi non mi è mai piaciuto tanto, in particolare in casi come questi, quando è proprio il protagonista (il che avvalora la critica): quella maschera da perdente, mediocre, che anche qui recita, si concilia secondo me ben poco con l’immagine del pistolero irresistibile.

Detti i difetti, ci sono vari lati buoni, comunque, nel film di Montaldo, che con lo stesso Manfredi e Donati ha scritto la sceneggiatura, e che ha fatto molto di meglio (ma solo poco prima, dal ‘71 al ‘76, con lo splendido “Agnese va a morire”, lo strepitoso “Sacco e Vanzetti” e l’immortale “Giordano Bruno”). Tali pregi consistono: nella colonna sonora di Morricone; nella resa di ambienti e accenti milanesi anni ’70; nell’analisi di un matrimonio fallimentare (sebbene impreziosita da tanti risvolti emotivamente notevoli e profondi, e tali da tenere assieme la coppia al di là di tutto), altro classico degli anni ’70. Ma il pregio migliore è la denuncia della finanza: Foa recita la parte del tipico capitalista ricchissimo e ladro, e ricco proprio perché un ladro di razza. Lo sfruttamento, i paradisi fiscali, i prestanome… sono tutte realtà criminali ben mostrate, per fortuna, anche e purtroppo nella loro impunità.

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