Regia di Nimród Antal vedi scheda film
A parte la discreta padronanza del mezzo cinematografico dimostrata dal del regista, classe 1973, il film offre poco o nulla. A un inizio che si inserisce nel solco tarantiniano seguono sequenze che non sanno quale registro scegliere, dal modello videoclipparo alla commedia demenziale: il controllo dei biglietti si risolve invariabilmente nell'incontro - scontro con personaggi arroganti, intrattabili o, nella migliore delle ipotesi, incomprensibili (il balbuziente, i sordomuti). Qualche gag è perfino riuscita (il diverbio tra il giovane controllore e l'insopportabile tettona), ma i personaggi, compreso il protagonista, sono poco riusciti e per niente originali, la conclusione con l'amore salvatore e angelico (si veda il costume indossato da Szofi) è scontata e l'unica cosa veramente riuscita è la descrizione dell'anziano macchinista Béla, fra l'altro ben interpretato dal veterano Lajos Kovács. Come è stato giustamente rilevato da Mauro Gervasini, il regista Antal ha esagerato con la voglia di sfatare l'idea cupa che all'estero ci si è fatta del cinema magiaro, ed è andato sopra le righe nel senso opposto.
Il giovane Bulcsù, reduce da una brillante carriera come progettista, lavora come controllore nella metropolitana di Budapest, una delle più antiche del mondo. Non solo: Bulcsù si è ormai ridotto a vivere nei sotterranei, in una sorta di timore per quanto sta sopra. L'anello di congiunzione tra il mondo sotterraneo e quello della luce è rappresentato da Szofi, la figlia di un anziano macchinista.
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