Regia di Neil Marshall vedi scheda film
The Descent è un viaggio iniziatico (reale quanto simbolico) verso l’oscurità. Alcune donne, dopo un incidente accaduto ad una di loro (Sara, la morte della figlia) si ritrovano insieme per realizzare un qualcosa.
Una discesa in una grotta.
Affrontare insieme un’esperienza pericolosa.
Compiere un rituale.
Questo è il senso profondo della loro discesa. Ritrovare unità, cercare di trasformarsi.
Infatti abbiamo una guida (Juno) e delle prove a cui saranno sottoposte, nel corso della storia, tutte le donne.
L’oscurità avvolgente e cupa, illuminata da luci rossastre o verdognole, ci ricorda un antro infernale. La grotta inizia a significare qualcosa. Potrebbe essere il lato oscuro della personalità femminile. Potrebbe essere il buio in cui si cade quando la tua vita viene distrutta.
Strani esseri iniziano a strisciare lungo le pareti. Affamati, ciechi, cattivi. Potrebbero essere l’incarnazione dell’istinto maschile, potrebbero essere il richiamo a quanto di più primitivo possediamo.
Alcune delle donne iniziano a morire. Dilaniate da una fame atavica e ancestrale. Conoscono la paura, il dolore e infine la morte.
Un rituale, una trasformazione.
Di loro ne rimarrà viva solo una, Sara. L’unica a portare a termine il suo cambiamento. L’orrore a cui assiste e di cui poi si fa partecipe la conducono alla scoperta della propria animalità, del proprio lato oscuro, della potenza selvaggia di cui la natura umana è capace.
Il suo volto. Una maschera di sangue.
Il regista non arretra davanti a nulla, costruisce la messainscena scavando nelle viscere (umane quanto terrene) e nel dolore per arrivare ad un senso che non sia il semplice compiacimento dell’orrore mostrato. In questo, le istanze più importanti del genere horror sono ancora vive e feroci, quelle che vanno al di là della morale comune nella ricerca di altre verità, sotterranee e nascoste.
Un viaggio a ritroso che dalla luce (la vita, una figlia, l’amicizia) porta al buio.
Un percorso che Sara, all’inizio del film, svegliatasi in ospedale dopo l’incidente, cerca di compiere al contrario. Fuggendo dal buio che la insegue. Luci di corsia che si spengono una dopo l’altra. L’arrivo tra le braccia di una amica. Nessuna consolazione. Solo l’indifferenza dei suoi simili e un dolore lancinante, quello della definitiva certezza della morte della figlia.
E in questa ottica, in un finale capace di non essere banale, l’ultimo incontro con l’immagine della figlia stessa (con una torta in mano e delle candele, ancora la luce, ma questa volta senza nessuna speranza) e l’aver capito di essere diventata ormai parte di quel buio (che dentro a lei già da tempo si era diffuso) le danno finalmente la consapevolezza di se stessa.
Nessuna fuga e nessun domani possono esistere quando ci si è spenti dentro. Concetto, questo, ben espresso nella sequenza antecedente quella finale.
Perché se è vero che solo nel buio ha senso la presenza di una luce è bene ricordare che solo nell’oscurità più profonda il nostro dolore smette finalmente di farci soffrire.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta