Regia di Sergio Citti vedi scheda film
La scelleratezza del titolo è in realtà la vera gioia della vita, in questo film che è un inno all'edonismo e al godimento sfrenato delle passioni più materiali, cibo e sesso in testa a tutte. E in testa a tutti: contadini come preti, tutti i personaggi (rigorosamente romaneschi e grezzissimi) sono accomunati da questa irrefrenabile voglia di soddisfare concretamente i propri vizi. Citti approfitta del momento per sfruttare furbescamente l'onda lunga del Decameron del 'maestro' Pasolini (un successo di due anni precedente, ma destinato a ravvivarsi nei seguenti Canterbury e Mille e una notte) e confeziona una sorta di sottoprodotto del genere, avvalendosi del fratello e di Davoli come protagonisti e della solita scia di discutibili caratteristi sconosciuti, attori non professionisti e spesso nemmeno professionali. Il risultato è comunque spassoso, a tratti.
Storielle di preti satiri, contadini zoofili, poveracci, popolane, ladruncoli e libertini, tutte raccontate da due condannati a morte per assassinio. Alla morte li attende un Dio bizzarro e gaudente.
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