Regia di Michail K. Kalatozov vedi scheda film
A distanza di un decennio dalla riscoperta (americana), merito di Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, proprio come un vecchio fossile riportato alla luce, Soy Cuba riesce ad arrivare sugli schermi italiani ed è davvero curioso come certa critica, sempre pronta alle rivalutazioni postume, lo abbia dimenticato per tutto questo tempo. Chi volesse comprendere al meglio la complessità del momento storico e le vicende che portarono alla realizzazione di questo film davvero particolare, non deve far altro che gustarsi il documentario Soy Cuba - Il mammuth siberiano distribuito sempre da Fandango. Però Soy Cuba merita davvero una visione attenta e partecipe da parte degli amanti del cinema. Se le quattro storie che si svolgono nella Cuba prerivoluzionaria del 1958 dominata dal corrotto dittatore Batista possono sembrare, alla luce del tempo che ci separa da esse, grondanti retorica e dalla semplicità quasi naïve, ben diverso è il giudizio sulla potenza della visione, a mezza via tra Welles e Ejzenstejn, che il regista Mikhail Kalatozov ha saputo imprimere alla sceneggiatura, a cui collaborò anche Evgenij Evtushenko. Lo stile grandioso è esaltato dal grandangolo che regala scorci meravigliosi di una natura straordinaria e pagine di una dignitosa povertà scritta senza parole nelle rughe dei volti di ogni cubano; realtà solo apparentemente lontane ma che senza contraddizione appartengono all’essenza di Cuba e del suo popolo. Poi c’è lo straordinario e naturale uso del piano-sequenza, che nell’occasione dei funerali dello studente rivoluzionario Enrique, regala quasi tre minuti di emozioni sconvolgenti e che fa impallidire anche il più ardito tecnicismo di De Palma.
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