Regia di Hany Abu-Assad vedi scheda film
Due amici d’infanzia, Khaled e Said, fanno la vita che possono a Nablus, tra disoccupazione e check point. Ma i due miti ragazzi sono anche due aspiranti kamikaze, e lo scopriamo quando vengono prescelti per una missione suicida in Israele. Il racconto segue il loro presumibile ultimo giorno di vita, con tutti i preparativi per l’attentato e vari intoppi. Regge e appassiona, ed è diretto con una mano sicura, con qualche vezzo da cinema internazionale d’autore (il montaggio finale e l’ultima inquadratura, un dialogo sul cinema che c’entra poco). La robustezza comunicativa però va a scapito dell’approfondimento, e non si cerchi riflessione sulle immagini. Ma l’intento era quello di rendere credibile un percorso, e il film ci riesce anzitutto attraverso una costruzione forte dei personaggi, le cui dinamiche, chiare e semplici, offrono varie chiavi d’accesso e di identificazione allo spettatore europeo (soprattutto attraverso la figura di Suha, ragazza borghese cresciuta in Francia). Dal punto di vista politico e da quello spettacolare, un’operazione non facile, che riesce a comunicare l’atmosfera della vita nelle colonie avvalendosi della forza vera del set: pare sia infatti il primo lungometraggio a soggetto girato a Nablus.
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