Regia di Fausto Paravidino vedi scheda film
Quanto è vero questo film! Solo chi ha vissuto in provincia, tra prati e risaie, navigli e strade statali, sa quanto sia vero questo film. Complice la stagione invernale, è un film molto triste, ma nella sua tristezza riesce a darti una spinta emotiva superiore, come un grande pezzo di jazz. Le storie di quel gruppo di amici di Paravidino, uguale a tanti altri gruppi di altrettanti uguali paesotti, sono le nostre storie, e direi anche più precisamente le mie. Festini notturni, le grandi ed irrimediabili bevute quando il fegato e l’intestino le sopportavano ancora, l’amico sempre fumato, il “tutti conoscono tutti”, le briscole e le scope dei vecchi nei vecchi bar dalle luci gialle e pieni di fumo, e la scuola elementare, e il negozietto di salumi a conduzione famigliare, e il meccanico, e tutto il resto: poesia della provincia. Una poesia amara che Paravidino, straordinario regista ed attore dal temperamento giusto, riesce a portare in immagini grazie ai volti, le mani, gli interni che sanno di passato, le cucine anni ’60 con il presepe con le luci, e le situazioni, soprattutto queste, che sembrano uscite dalla vita di ognuno di noi. Noi gente di paese, per i quali la provincia non è un vero e proprio dramma, ma nemmeno il sogno della vita. Piuttosto un bellissimo orizzonte limitato, che non ci da spazio e non ci fa respirare. Un territorio in cui l’immaginario non si capisce bene sia quello giusto, perché primitivo, oppure quello sbagliato perché provinciale, limitato, facile e pericoloso come un incesto. Nascere, crescere, andare a scuola, essere appariscenti per darsi un grido, giocare nella squadra di calcio del paese, trovarsi una bella ragazza, laurearsi, sposarsi, fare figli e mandarli a scuola, e poi al liceo, a giocare nella squadra di calcio del paese, poi all’università, e così via. Un triste e monotono rosario che sembra non avere una fine, e dal quale spesso si vuole scappare. Ma si scappa solo da ciò che si ama, perché si avverte il legame troppo forte ed intimo che ci lega, e si torna così ad amare, come i personaggi del film.
“Texas” ha una potenza visiva incredibile. Lo sguardo di Paravidino-regista sa cosa inquadrare per fare in modo che ci rimanga nella pelle e non scappi, per fare in modo che l’immaginario personale di tutti coloro che le han vissute torni in immagini per raccontarle, le nostre e le loro storie. Passate dal freddo dell’inverno alienante e poi approdate nel cassetto dei ricordi grazie al caldo sole delle nostre pianure. Un montaggio ed una struttura narrativa ad incastro, che non sono nulla di nuovo, ma son fatte col mestiere di chi non vuole impressionare ma solo raccontare con partecipazione. Un cast davvero stupendo su cui svetta su tutti il Riccardo Scamarcio tanto caro alle ragazzine, ma che a differenza dei colleghi da copertina, lavora sul personaggio con una sensibilità diversa, un’approccio di discussione e di conflitto, e il risultato lo si vede e lo si apprezza sempre. E come lui, il regista Fausto Paravidino, sa essere un personaggio vivo e presente, e non semplicemente il solito narratore sfuggevole e inutile. È lì presente e vivo nella vita del suo film, che è poi la vita e la vitalità delle storie rocambolesche, tragedie di classici in pensione, di noi che siamo il grosso e sottovalutato popolo delle grandi pianure. E se la provincia piemontese per Paradivino è il Texas, la mia bassa pianura dipinta tra il Naviglio e il Ticino, è una solare ed erotica Arizona.
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