Regia di Boaz Davidson vedi scheda film
Coevo a Porky’s (1982) – anche se il seminale film di Bob Clark uscendo il 19 marzo anticipa di qualche mese l’anteprima nipponica di quello diretto da Boaz Davidson – L’Ultima Vergine Americana è un film molto meno stupido di quello che potrebbe sembrare. Anzi, si potrebbe dire pure finemente politico e quindi più vicino alla corrente autoriale della commedia ormonale americana, inaugurata nel 1978 da John Landis con Animal House, che a a quella becera e commerciale dei sequel dei pazzi pazzi porcelloni e dei successivi epigoni come American Pie (1999) e soci.
Il film di Davidson fin dal titolo si prende gioco dei pilastri puritani del Grande Paese e cita un’ipotetica vergine americana, di cui il protagonista si innamora perdutamente, che poi proprio vergine vergine non è. Ma non solo in questo elemento narrativo ritroviamo un certo antagonismo alla Landis, ma tutte le avventure piccanti e non dei tre protagonisti sono fondate sulla gag dissacrante e dal tono satirico, più o meno riuscita a seconda dei casi, con cui si prepara la beffa finale che è poi l’amarezza del sogno americano tanto sbandierato.
Il film è un tipico susseguirsi di luoghi comuni tipici per una commedia scollacciata americana degli anni ’80: un’irrefrenabile voglia di scopare, le gare a chi ce l’ha più lungo, l’abbordaggio goffo alle scarzoline solitarie, la cougar in agguato in biancheria intima e infine le tanto chiacchierate feste americane con tanto alcol e il ballo guancia-a-guancia che può rovinare un’intera esistenza.
Divertente e leggero L’Ultima Vergine Americana sa trattare anche un tema delicato come l’aborto con un certo coraggio e una certa leggerezza, come se fosse un comportamento civile già pienamente acquisito. Se non fosse per la pessima interpretazione de protagonista Lawrence Monoson, il film sarebbe perfetto. Va notato nel cast Steve Antin, il coglioncello griffato dei Goonies (1985), uno dei bulli più odiosi dell’infanzia anni ’80, supportato tra l’altro da una perfezione estetica spiazzante che lo rende ancora più odioso e quindi perfetto villain dei nostri incubi. Lei, invece, Diane Franklin, la presunta verginella, è davvero bellissima, ma con quei baffetti non può nulla contro l’avvenente pantera che Antin si spupazza a inizio film: altra categoria, un corpo da reato.
Si segnala anche la presenza di Kimmy Robertson, la svampita Lucy di Twin Peaks (1990-1991) in un ruolo altrettanto svampito, ovvero l’amica brutta della protagonista figa.
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