Regia di Lamberto Bava vedi scheda film
Se ne parla come uno dei migliori film di Lamberto Bava. Sicuramente c’è un’attenzione maggiore a questo lavoro, da parte di Bava e di Sacchetti sceneggiatore, rispetto agli altri della serie “Brivido Giallo”. Tutto parte da “Il Postino Suona Sempre Due Volte” con la coppia omicida Gioia Scola-David Brandon, che fanno fuori il marito di lei per vivere e amarsi senza problemi, fino ad arrivare ad una nuova esemplificazione horror del “ritornante”, tanto cara a Bava senior quanto al figlio. Nel padre-zombie che torna, sia sotto il bell’aspetto di Barberini sia sotto le proprie deturpate spoglie da morto vivente, torna pure tutto un cinema baviano che nel “revenant” aveva sempre dichiarato la propria politica di sfiducia polemica al genere umano, pure quando è morto. Ecco che le invenzioni visive più riuscite sono poche e tutte legate alle apparizioni del padre morto: quando esce dall’altalena è antologizzabile. Per il resto il film né sfoggia un parco attori decente, se non per la Gioia Scola che squote corpi e coscenze di noi maschietti, né una direzione artistica davvero attenta, risultando così una semplice messa in scena attoriale con buone idee visive. Molte delle quali credo restate sulla carta. Il Pezzotta parla di Lamberto Bava come di un’autore che ha fatto degli ambienti domestici, provinciali e quotidiani un elemento costante della sua estetica, dove alla sciatteria (anche vera e propria del film low-budget italiano) degli ambienti e delle storie fa il paio l’orrore dell’ignoranza e della brutalità. Se in “Reazione a Catena” di Mario Bava era una zona lacustre con acqua e tanto verde ad ispirare il contrasto con la violenza e la cattiveria sanguinaria dei protagonisti, qui è invece lo scialbo casolare accostato al lago di Bracciano ad ispirare violenza. É comunque la pochezza dello spirito umano a generare gli orrori, e non l’ambiente in sè, che ne è solo uno specchio, un’amplificazione estetica con funzioni narrative e immaginifiche. Se con il film del padre di si parla giustamente e meglio di “ecologia del delitto”, con Lamberto si può parlare di “catasto del delitto”. Nel primo la natura, la selvaggia aria aperta, lo stimolo primitivo portava alla deflagrazione delle istintualità represse; nel secondo sono le mura grezze, il pochismo, le strutture umane, le auto scassate, la povertà degli interni, a inaridire ed impoverire ulteriormente l’animo umano e a renderlo permeabile all’orrore. Elemento naturale comune ai due film, e forse non a caso anche a tanto horror, è l’acqua: portatrice sana di vita e di morte, specchio e abisso in cui trovarsi e perdersi, resta in natura il nostro passaggio più misterioso verso noi stessi.
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