Regia di Michele Placido vedi scheda film
Tra la seconda metà degli anni settanta e gli anni ottanta un manipolo di ragazzi della periferia romana decise di importare nella capitale i metodi della camorra e della mafia. Nel giro di pochi anni e sotto la guida di uno di loro, soprannominato Libano (Favino), raccolsero un impero tra traffico di droga, prostituzione, beni immobili, riciclaggio di denaro sporco, rapimenti. La morte di Libano segna però la fine del gruppo: animati da sospetti reciproci, determinati ad assumere la leadership della banda, questi ragazzi di borgata cominciarono a massacrarsi tra di loro dopo avere compiuto una vera e propria mattanza nella città eterna.
Michele Placido porta sullo schermo la storia romanzata (da Giancarlo De Cataldo) della banda della Magliana, che insanguinò Roma per oltre tre lustri e che era collusa con poteri occulti, alte cariche dello stato, clero, la destra politica più eversiva, la mafia e la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Le oltre seicento pagine del romanzo di una storia in partenza già assai complicata non avrebbero mai potuto essere condensate nelle due ore e mezza di film se Placido non avesse optato per qualche ellissi narrativa, soprattutto nella seconda parte. Anche a queste condizioni, la scommessa di trasformare in fiction una delle stagioni più nere di Roma, di raccontare la capitale come fosse la Chicago degli anni '30 e i ragazzi della banda come i protagonisti di C'era una volta in America, dando la giusta enfasi a quello che fu un tripudio impressionante di violenza, è vinta: in parte grazie a una sapiente scelta narrativa che si concentra sui tre personaggi di spicco della banda (Libano, Freddo e Dandi), un po' per l'interpretazione magistrale che molti dei protagonisti riescono a offrire. Con un Kim Rossi Stuart una spanna sopra gli altri.
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