Espandi menu
cerca
Romanzo criminale

Regia di Michele Placido vedi scheda film

Recensioni

L'autore

LorCio

LorCio

Iscritto dal 3 giugno 2007 Vai al suo profilo
  • Seguaci 145
  • Post 34
  • Recensioni 1625
  • Playlist 251
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Romanzo criminale

di LorCio
8 stelle

In una fredda giornata del 1966, quattro ragazzetti sbandati che hanno appena rubato un’auto si giurano fedeltà in una roulette. Si ribattezzano Libanese, Freddo, Dandi e Grana. Il quarto muore dopo una lenta agonia, gli altri tre vengono inseguiti dalla polizia: il Libanese viene colpito alla gamba e il Freddo viene catturato. Passano dieci anni, il Freddo esce di prigione e il Libanese gli propone di fondare una batteria assieme al Dandi e ad altri delinquentelli (tra cu il Sorcio, il Nero, il maturo rigattiere Ciro Buffoni, il Bufalo). Organizzano il sequestro del facoltoso barone Rosellini (cammeo di Franco Interlenghi) e l’uccidono. Da questo imprevisto omicidio inizia la storia della più famigerata ed organizzata banda criminale degli anni settanta, che vuole conquistare Roma e che pagherà la megalomania dei suoi componenti col prezzo più caro. Su di loro indaga il commissario Scialoja, un giovane ed inquieto poliziotto che s’invaghisce di Patrizia, la prostituta amata dal Dandi.

 

Difficile giudicare un film come Romanzo criminale. Eccessivo, esagerato, smisurato, ma anche duro, misurato, secco. Un affresco generazionale sul lato oscuro di una nazione, tutto sommato nelle corde di Michele Placido, ispirato alle vicende della banda della Magliana filtrate e rielaborate dal bel romanzo fluviale di Giancarlo De Cataldo (che compare anche nel cammeo del giudice). Il film abbraccia vent’anni di triste storia italiana, scandita in tre parti più un prologo (che è forse la sequenza, se non migliore, certamente più sincera del film, sulle note di Io ho in mente te): il primo capitolo racconta la nascita della banda, sotto la carismatica guida del Libanese (l’eccezionale Pierfrancesco Favino) che si ritrova solo ed abbandonato prima di morire ammazzato; segue il dominio del Freddo (il magnifico Kim Rossi Stuart), romantico, fragile e tormentato capobanda che lascia tutto per amore di Roberta (la solare Jasmine Trinca); il terzo atto è quella della decadenza, che coincide col potere del Dandi (l’esaltato Claudio Santamaria), amante del lusso e dei bei vestiti nonché tessitore di grandi alleanze coi poteri forti.

 

Il film riesce ad entrare nella dimensione mitica del romanzo, amalgamando la Storia ufficiale con le gesta di questi eroi negativi, fino ad un certo punto loro malgrado protagonisti dei retroscena e dei misteri che avvolgono la città che “se vojono pija’ tutti” e di riflesso dell’intero Paese. Grande confezione che diventa valore capitale di un’opera di contenuti (tanti forse troppi, ma comunque onore al merito a Sandro Petraglia e Stefano Rulli in una delle prove più ragionate ed al contempo istintive della loro carriera, assistiti da De Cataldo e Placido) in cui trionfano la splendida fotografia fosca e cupa del mago delle luci Luca Bigazzi, il ritmo incessante del montaggio di Esmeralda Calabria (il montato finale del film in origine s’aggirava attorno, pare, alle sei ore), le musiche enigmatiche di Paolo Buonvino (alternate ad un tessuto di canzoni che va dalla Bambola di Patty Pravo ai Queen di Tie Your Mother Dawn fino a  I Heard It Through the Grapevine e Tutto il resto è noia del Califfo).

 

In un film del (e di) genere, la scelta delle facce e dei corpi rappresenta un elemento sostanziale. Il sottobosco della malavita romana non può, dunque, non avere le facce sgualcite e ruvide di Antonello Fassari e Roberto Brunetti, la disperata giovinezza di Riccardo Scamarcio ed Elio Germano, la regale robustezza di Massimo Popolizio. E così i funzionari dell’ordine, dal fascino cinico di Stefano Accorsi, il raffinato anonimato di Gianmarco Tognazzi e l’inquietante misteriosità di Toni Bertorelli. Nonché la seconda donna diel cast maschile di un film fieramente misogino, la spettacolare bellezza di Anna Mouglalis. Perfino gli effettacci del cinema poliziottesco degli anni settanta sono rimaneggiati seguendo la lezione scorsesiana raggiungendo una specificità italiana nel genere che al nostro cinema mancava da qualche decennio. Un film forse imperfetto (forse qualcosa è troppo annunciato, qualcos’altro è troppo spiegato, qua e là prevedibile), ma sentito, caldo, essenziale, il migliore di Placido dietro la macchina da presa.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati