Regia di Michele Placido vedi scheda film
Quando si vede questo film non si sa se confrontarlo con l'omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo (il quale compare anche nelle vesti del giudice che condanna la banda) oppure con la realtà dei fatti di sangue di cui fu protagonista la Banda della Magliana, narrati ad esempio in libri come "Ragazzi di malavita" di Giovanni Bianconi. La cosa migliore è probabilmente quella di vedere il film come tale, anche se è impossibile, per chi conosca i fatti a cui gli autori (i mitici Rulli e Petraglia, oltre al regista e all'autore del romanzo) si sono ispirati, non riconoscere Franco Giuseppucci detto Er Negro dietro al Libanese, oppure "Renatino" De Pedis dietro al Dandi, o Abbatino detto Crispino dietro al Freddo, o infine il neofascista Abbruciati, adombrato nel personaggio del Nero. E il film, va detto, è valido, anche se Michele Placido denuncia tutti i suoi limiti di regista, non sapendo forse barcamenarsi bene tra le ambizioni di Autore e quelle di regista di film di mestiere e di denuncia alla Damiano Damiani. La storia dell'attrazione tra il commissario Scialoja e la prostituta d'alto bordo Patrizia, forse presente nel romanzo di De Cataldo, non rende più credibile l'intera operazione, mentre veri o comunque molto vicini alla realtà sono gli appoggi di alto livello di cui godettero questi assassini e spacciatori per lungo tempo. Vero è anche che per includere nel film la materia del romanzo sarebbe servita una durata almeno doppia rispetto a quella, già corposa, della versione uscita al cinema. Intelligentemente, comunque, gli autori del film mischiano un po' le carte rispetto a come le cose sono andate realmente, visto che probabilmente l'episodio legato alla chiesa coinvolse più Renatino che Crispino, e riescono a trarre da una materia difficile da districare una storia plausibile ed avvincente.
Direi che gran parte della riuscita del film si deve agli interpreti, tra i quali il migliore mi è sembrato Pierfrancesco Favino. Ma molto bravi si sono rivelati anche Santamaria e Rossi Stuart, per non parlare di un irriconoscibile Gianmarco Tognazzi nella parte di un faccendiere viscido e sfuggente.
Non è un grande regista, però gli vanno riconosciuti i meriti di un onesto artigianato, accompagnato da un impegno civile che ne nobilita le scelte espressive.
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