Regia di Adolfo Aristarain vedi scheda film
Tutto il film mi è sembrato un po' piatto e freddo. Vediamo sì la vita del giovane Joaquin ma la descrizione del rapporto con la madre, che avrebbe dovuto essere il filo conduttore, mi è sembrata solo superficiale. Soprattutto con l'ultima scena del film, che ricorda le parole del padre, mi è sembrato che in realtà fosse più importante il rapporto con quest'ultimo.
Lo sfondo della incombente dittatura argentina (che forse è quello che ha valso al film un premio in Argentina) avrebbe potuto essere evidenziato di più.
Quando il giornalista Manuel Cueto viene ingaggiato per dattilografare l'autobiografia di Joaquín Góñez, un romanziere sessantenne, in quest'ultimo si risvegliano emozioni e ricordi che si erano assopiti nella solitudine della sua vita creativa. Abituato ad anni di solitudine, Joaquin trova nel giovane giornalista un ponte verso i suoi anni giovanili dimenticati, nella Buenos Aires degli anni 60 e 70. Si dispiegano così il passaggio all'età adulta, il ricordo dei vecchi amici, il significato della lealtà, l'influenza di cinema e jazz, il gusto del primo amore e le esperienze dei molti che seguirono, l'intima relazione con i genitori, in particolare con la madre vedova Roma, una donna forte e intelligente che sosteneva gli ideali giovanili di Joaquin.
È a Roma che Joaquin deve il suo spirito libero e bohemienne; le aspirazioni condivise con lei all'ombra del ricordo del padre risveglieranno in Joaquin il desiderio e l'impazienza di recuperare tutto ciò che fino ad ora aveva creduto perso.
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