Regia di Eriprando Visconti vedi scheda film
Splendido film di mafia post68: quando si andava al sodo della denuncia dei problemi – l’opera del nipote di Luchino Visconti, Eriprando, è del ’72.
Qui viene lumeggiato il favoreggiamento che il potere, e la società secolarmente asservita a tale potere, e dunque gli italiani, fanno ai mafiosi: con la conseguente necessità della lotta ai magistrati seri, gli unici che (con tragico successo) devono essere percepiti come veri nemici e problemi.
La solitudine dell’uomo giusto, che fa il suo dovere nell’interesse della società e della giustizia, e perciò paga fino alla morte, è ben raffigurata.
Ottima l’ostensione della abitudine alla menzogna. Tutti mentono: i carcerati, che fingono gli infortuni più grotteschi; e i loro complici, quelle forze dell’ordine cui conviene non fare bene il proprio dovere se vogliono far carriera, e devono chiudere gli occhi su molti aspetti che in realtà dovrebbero denunciare.
Le prostitute con disinvoltura possono allietare in carcere certi ricchi e influenti delinquenti. I quali hanno buon gioco nel corrompere i secondini. Ma anche nel proporre la propria protezione criminale agli stessi giudici, garantendo che i giudici medesimi ne avranno migliorata la carriera – o peggiorata, in caso di rifiuto - : terribile profezia, nella sua verità storica accaduta svariate volte.
Pure dei preti, tradizionali rappresentanti del potere al Sud, si spendono al fine di aiutare gli illeciti in carcere.
Notevoli anche le pressioni che i familiari fanno sul giudice: tutti influenti, tutti ricchi, tutti corrotti, tutti solidali nel loro essere parte, silente ma reale, di un’associazione a delinquere. A parte il giovane giudice, al quale il padre può però ricordare che la sua carriera dipende anche dagli illeciti commessi dal padre medesimo, assieme a chi ha truccato il concorso per farlo diventare giudice. Insomma: non c’è nessuno che non sia ricattabile, anche suo malgrado. Pertanto, tutti possono vedere rovinata la carriera da un momento all’altro, se non seguono certe indicazioni illecite.
Eccellente è pure la scena (ovviamente solo lasciata presagire) dello stupro di gruppo che un pentito è costretto a subire, per avere detto una piccola parte della verità a sua conoscenza. Anche lì emerge lo strapotere dei mafiosi, che, sebbene in carcere, possono fare quello che vogliono e quello che serve loro, totalmente indisturbati, certi della collaborazione – delinquenziale – garantita da un sistema intero che ha in mano la politica: che parte dal governo (allora quello arcicorrotto e mafioso democristiano, protetto dall’America) e discende fino ai secondini.
Ottimo cast: sia Musante nella parte del giudice serio, sia dei capi mafiosi Salvo Randone e Saro Urzi, sia di personaggi di contorno come Corrado Gaipa e Nino Terzo. Eriprando Visconti gira bene e con ritmo, assistito dalla bella fotografia di Menczer e da interni – quelli claustrofobici del carcere - ben gestiti.
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