Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Non sono le armi a essere pericolose, ma gli uomini. L’affermazione si può leggere in due modi: o come efficace slogan della National Rifle Association, la lobby delle armi Usa, oppure come verità assoluta. Un pezzo di metallo che spara è pur sempre “solo” un pezzo di metallo. Siccome il paradosso è il suo pane quotidiano, Lars von Trier ha scritto Dear Wendy per raccontare il fascino che scaturisce da quel metallo. Lui stesso, pur non avendo mai posseduto un revolver, ha dichiarato di essere attratto dall’oggetto. Così Wendy, piccola pistola acquistata dal giovane Jamie Bell per un regalo, ma poi gelosamente trattenuta manco fosse l’Anello di Tolkien, diventa la protagonista del film, destinataria di una lettera-memoriale che la voce fuori campo del ragazzo detta sequenza dopo sequenza. Siamo negli Stati Uniti immaginari del cineasta danese, e anche se dietro la macchina da presa c’è il suo compare Thomas Vinterberg, è chiaro come Dear Wendy si possa considerare un’appendice alla trilogia sull’America iniziata con Dogville e proseguita con Manderlay. Già, perché l’apologo morale a questo è rivolto, a svelare ancora una volta come i miti fondativi degli States siano violenti e ipocriti. Programmatico e provocatorio come sempre Lars. Chi lo ama lo amerà, chi lo odia lo odierà.
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