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Il giardino dei Finzi Contini

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il giardino dei Finzi Contini

di giansnow89
8 stelle

L'attesa della tragedia sa essere più mesta della tragedia stessa.

Vittorio De Sica sceglie per la tragedia ebraica la strada del racconto incruento, con le gradazioni tenui che tanto hanno reso grande e riconoscibile la sua epopea cinematografica. Una scelta, se vogliamo, rischiosa, abituati come siamo all'equazione ebreo=sterminio indiscriminato: l'incontro fra l'urgenza sempre attuale della memoria di ciò che è accaduto, e la spettacolarità inevitabilmente orrifica della Shoah ha dato vita a pellicole davvero memorabili. Invece, Il giardino dei Finzi Contini è un film sull'attesa composta, dignitosa ed incredula dell'irreparabile. E' un film sulla segregazione, non quella fisica del lager e nemmeno quella del ghetto, ma quella sociale, che è stata premessa ineludibile del fenomeno. L'indifferenza generalizzata, da sola, ha potuto più di tutta la malvagità della macchina fascio/nazista. Ma la segregazione rappresentata dal rigoglioso giardino della ricca famiglia ebraica dei Finzi Contini ha anche un notevole sottinteso simbolico. E' verdeggiante la vegetazione come l'età di tutti i protagonisti. Niente scheletriche figure, non ci sono i moribondi affamati e malati tipici di tutti i lavori sulla Shoah: sono anzi tutti bei ragazzi, nel fiore degli anni, sportivi, intelligenti, solari. E quindi in un certo senso il disagio che proviamo verso di loro è doppio: la certezza della sorte che li attende ci sovrasta, la coscienza che il fiore dei loro anni si inaridirà miseramente fa male. Il giardino tra l'altro è già esso stesso una prefigurazione/anticipazione del lager: è un contenitore di innocenza che progressivamente impoverisce, si piaga, deperisce. Dietro i rassicuranti sorrisi, ciascuno dei ragazzi nasconde un pianto, e una pena. Il giardino perde progressivamente i suoi frequentatori; l'amore fra Giorgio e Micol non sboccia ma conosce anzi l'onta del "tradimento" (pur non essendo mai esistito); Alberto, morendo, è il primo agnello sacrificale che si avvia sul Golgota, primo fra tanti. 

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