Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film
La durezza delle leggi razziali si abbatte su due famiglie ferraresi di ebrei alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Drammone quasi viscontiano che valse l’Oscar come migliore film straniero a Vittorio De Sica nel 1972. Splendida ricostruzione filologica, che si avvale di costumi e soprattutto scenografie splendide. D’effetto anche la fotografia.
Un film inusuale per Vittorio De Sica, più incentrato sulla matrice estetica che su quella contenutistica, con ritmi eterei, a tratti melensi, sottolineati con grande efficacia dalle musiche del figlio Manuel. Il giardino come metafora dell’autoreferenzialità a cui erano costretti gli ebrei aristocratici e contraltare ludico ai campi di sterminio che si andavano formando in giro per l’Europa. Una costrizione che veleggiava nell’incredulità: Il giardino dei Finzi Contini è ancora oggi uno dei film che maggiormente è stato in grado di esperire il nichilismo dell’aristocrazia ebrea italiana difronte ad una realtà politica in divenire che stentavano a considerare plausibile. Forse proprio l’estetica molto simile a certo cinema americano coevo consentì a De Sica di ottenere un riconoscimento internazionale che, stando al valore intrinseco dell’opera, appare alquanto generoso, proprio per i ritmi troppo sincopati ed un finale in cui la deportazione appare quasi come una liberazione (visto che la compresenza indiscriminata di tutti gli ebrei livella la disparità sociale dovuta ad un differente ceto d’appartenenza). Comunque un buon film, di grande impatto emotivo e storiograficamente molto valido.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta